Come
pregare sempre
II
- LA PRATICA
3.
Seminare in tutto un po' di preghiera
Fare
accuratamente l'orazione quotidiana; fare di tutta la propria
vita un'orazione. Sono le condizioni richieste per giungere
a una vera e profonda unione con Dio.
C'è
ancora qualcosa da aggiungere: la preoccupazione di seminare
durante la giornata il maggior numero possibile di aspirazioni
verso Dio, cioè l'abitudine delle orazioni giaculatorie.
Spieghiamo
meglio di cosa si tratta e i relativi vantaggi.
Pratica
delle orazioni giaculatorie
È
evidente che la maggior parte delle anime desiderose di
giungere a una vera pietà, non domanda di meglio
che pensare spesso a Dio. Come fare per arrivarci?
Abituiamoci
innanzi tutto a pensare a Dio di tanto in tanto. Cominciamo
con ciò che è più facile: un atto di
offerta a Dio, per esempio, ogni volta che mutiamo occupazione.
Santa Teresa d'Avila consiglia, qualora non si riesca a
praticare costantemente l'esercizio della presenza di Dio,
di ricordare il Signore almeno qualche volta: «Se
può, lo ricordi spesso ogni giorno, o almeno di tanto
in tanto; e, fattane l'abitudine, presto o tardi ne caverà
profitto. Dopo aver ottenuto questa grazia, non vorrà
cambiarla con alcun tesoro» (1).
Fénelon
fornisce consigli più particolareggiati:
«Approfittate
dei ritagli di tempo in cui siete meno occupati nelle cose
esteriori per occuparvi di Dio nell'intimo del cuore; per
esempio, rimanere semplicemente e familiarmente alla presenza
di Dio nello sbrigare un lavoro. Solamente quando conversiamo
con il prossimo è più difficile mantenere
la presenza di Dio; anche in questi casi potremo tuttavia
innalzare la mente al Signore: uno sguardo generale, e vero,
ma che aiuterà a regolare le parole e a reprimere
le delicatezze dell'amor proprio.
«Non
conviene interessarsi troppo, fino a esserne sazi, a quanto
si dice o si fa intorno a noi. Una volta compreso ciò
che Dio esige in una data situazione, limitiamoci a quello
e lasciamo perdere il resto. Così conserveremo sempre
libero e immutato il fondo dell'anima nostra [...].
«Un
eccellente mezzo per mantenere la solitudine interiore è
la libertà di spirito consiste in questo: conclusa
un'azione, evitiamo di tornarci sopra con pensieri di vanità
o di tristezza, perché ci danneggerebbero molto.
Beato chi conserva nello spirito lo stretto necessario e
pensa a ogni cosa solo al momento opportuno!».
Dopo
altri eccellenti consigli, conclude:
«Rinunciamo
a tutte le soddisfazioni che non provengono da Dio; liberiamoci
dai pensieri e dalle fantasticherie inutili e non pronunciamo
alcuna parola vana».
Ancora
un dettaglio prezioso: «Un po' di presenza di Dio
quando si è a tavola (2), specialmente se il pranzo è lungo e piacevole,
servirà a mantenervi nei limiti della sobrietà
e a fortificarvi contro le eccessive raffinatezze. Si può
pensare un po' a Dio nei momenti in cui l'appetito modera
la loquacità dei commensali; ma tutto ciò
si deve fare solo nella misura in cui si possa fare senza
impaccio» (3).
Queste
ultime parole sono da sottolineare e ricordare. Un'importante
norma della vita spirituale vuole che si eviti con cura
tutto quanto può limitare in qualche modo «la
santa libertà dei figli di Dio», tutto ciò
che possa comprimere o impedire la dilatazione e lo slancio
dello spirito, che possa provocare la tensione dell'animo
a danno della pace e della serenità.
Nella
vita di alcuni Padri del deserto (4)
e di certi santi contemporanei, si legge come si esercitavano
nel rinnovare il ricorso a Dio, raggiungendo nella giornata
cifre straordinarie di giaculatorie. San Leonardo da Porto
Maurizio, per esempio, aveva preso la risoluzione di ripetere
l'invocazione Gesù mio, misericordia mille
volte al giorno, mentalmente o vocalmente (5). San Luigi Gonzaga -attesta una rivelazione di santa Maria
Maddalena de' Pazzi- non smetteva di lanciare verso il cielo
frecce infuocate di amore di Dio (6),
San Francesco Saverio ripeteva cosi spesso l'invocazione
O Santissima Trinitas!, che gli idolatri avevano
preso l'abitudine di ripeterla senza comprenderne il significato
(7). Padre William Doyle, sei mesi prima della tragica morte scriveva
nel suo diario: «Il Signore vuole che io raggiunga
il numero di centomila aspirazioni quotidiane. Gesù
mi chiede questo in riparazione per i sacerdoti»
(8).
Per
raggiungere l'unione con Dio è forse necessario rivaleggiare
con queste anime privilegiate, aspirare a simili sforzi,
sottostare ad una matematica che può diventare opprimente?
No.
Può
convenire, in linea di principio, cercare di rendere sempre
più numerose e frequenti le preghiere giaculatorie;
è tuttavia opportuno che la loro assiduità
obbedisca a due regole raccomandate con insistenza dai maestri
di spiritualità, in particolare da padre Alvarez
de Paz, che dona preziosi consigli per stabilire il rapporto
esatto tra gli sforzi generosi e il riposo dovuto all'anima
(9) . Le regole sono: evitare l'eccessiva stanchezza della mente,
che porterebbe presto al disgusto (10);
seguire le ispirazioni della grazia, giacche lo Spirito
Santo non domanda a tutti le stesse cose.
In
ogni caso, non meravigliamoci mai e soprattutto non scoraggiamoci
se, nonostante le risoluzioni prese con prudenza -consideriamo
infatti quest'unica ipotesi- non riusciamo a raggiungere,
specialmente all'inizio, il numero prefissato di giaculatorie;
oppure se ci accorgiamo di avere raggiunto oggi un numero
inferiore a quello di ieri. Siamo, per definizione, esseri
incostanti, e sulla terra non si avanza di vittoria in vittoria,
ma piuttosto di rivincita in rivincita.
Il
padre de Caussade osserva in merito: «Non dobbiamo
mai meravigliarci se un giorno di grande raccoglimento è
seguito da un altro pieno di dissipazione; è la nostra
condizione nella vita presente. Tale incostanza è
necessaria anche nella vita spirituale per mantenerci nell'umiltà
e nella dipendenza da Dio. Persino i santi sono passati
per queste fasi alterne» (11).
Sono
perfettamente d'accordo -dirà qualche anima buona-
ma la mia difficoltà non è l'assenza di prudenza
pratica e neppure la mancanza di generosità. Non
chiedo di meglio che pensare a Dio. Ma come ricordarsi di
pensare a Dio? Come svincolarmi per un attimo soltanto dal
mondo sensibile -nel quale sono immerso e che mi domina-
e scoprire, fosse anche per un baleno, l'Invisibile?
Facilitano
il contatto con l'Invisibile -ripetiamo- la pratica della
meditazione quotidiana, il fare bene la propria preghiera,
l'esercizio del continuo distacco, il trasformare tutto
in preghiera, cioè l'elevarsi a Dio con la purezza
dell'intenzione, e non discendere su noi stessi con l'obbedienza
ai nostri capricci. Ma può succedere che, fatta con
cura la meditazione e praticato con buona volontà
il distacco, l'anima, attratta dalle cose esteriori e vittima
delle circostanze, incontri molte difficoltà nel
ritrovare la presenza esplicita di Dio. Si passeranno ore,
persino una mattinata o un giorno intero, senza pensare
una volta all'ospite divino, senza una sola giaculatoria.
Come comportarsi in questi casi?
Poiché
lo scoglio principale è il mondo sensibile, il rimedio
consiste nel cercare di unire il ricordo delle realtà
spirituali a un qualsiasi dato d'ordine sensibile. Trasformare
il nemico in alleato; utilizzare un particolare della vita
materiale per risvegliare in noi l'idea del mondo spirituale;
servirsi del corpo per aiutare l'anima. Sant'Ignazio, da
buon psicologo, nella sua teoria sull'esame particolare
sfrutta questa realtà del composto umano e consiglia
di combinare insieme gesto materiale e idea divina.
Si
potrà, per esempio, stabilire di provocare in noi
il ricordo della presenza di Dio ogni volta che si passa
davanti ad un'immagine sacra, a un crocifisso, a una statua;
o quando si compie un'azione anche comune: uscire di casa,
entrare in una camera, iniziare una certa occupazione, ecc.
Le persone semplici fanno un nodo al fazzoletto per non
dimenticare quello che si propongono di compiere. Il padre
Maunoir concludeva le missioni al popolo della Bretagna
invitando gli uditori a cucire sulle maniche un «distintivo»
della presenza di Dio -un cuore di panno rosso per gli uomini
e di panno blu per le donne- affinché in mezzo alle
fatiche dei campi e di casa quel vistoso pezzetto di stoffa
rappresentasse un salutare richiamo alla preghiera. La pratica
dell'Angelus è nata dal medesimo desiderio cristiano.
Dobbiamo
forse temere che frequenti ritorni «dentro di noi»
danneggino l'adempimento dei nostri doveri di stato? Certamente
no. Anzi, se praticati con giudizio, non mancheranno di
dare impulso alle opere e rendere più coscienzioso
e generoso il nostro impegno. «Questo esercizio
non è difficile -scrive san Francesco di Sales.-
Esso si può benissimo fare durante le faccende
e le occupazioni; tanto nel raccoglimento spirituale, quanto
negli slanci interiori; basta volgere un momento altrove
la mente; il che non solo non intralcia, ma aiuta a compiere
l'opera intrapresa» (12).
D'altronde
è chiaro che più l'occupazione è manuale,
minore è il rischio di disturbarla con l'esercizio
esplicito della presenza di Dio; al contrario, più
l'occupazione è di ordine intellettuale e richiede
l'impegno di tutte le nostre facoltà, tanto meno
si deve esigere uno sforzo violento per interromperla di
quando in quando, al fine di rivolgere il pensiero o la
parola al Signore.
In
molti casi, non osservare questo principio significa aver
capito male il proprio dovere. Se le orazioni giaculatorie
intralciano il lavoro, è opportuno trascurarle a
vantaggio della sua buona riuscita. Prima di tutto, come
abbiamo gia detto, c'è il dovere di stato. Sant'Ignazio
di Loyola, studente all'università di Parigi, durante
le lezioni si sentiva dominato dal pensiero per le cose
divine: dal suo cuore erompevano atti d'amore che si succedevano
ininterrottamente; era al «settimo cielo», si,
ma non seguiva le lezioni. Comprese presto che gli studi
ne avrebbero risentito e supplico umilmente Dio di frenare
quelle aspirazioni d'amore, per potere condurre in porto
gli studi. È un esempio di spiritualità
rettamente intesa.
Ma
quali sono le migliori orazioni giaculatorie? Quali preferire
?
Rispondiamo
subito: ciascuno si abbandoni all'inclinazione che sente
in cuore, ecco la grande regola! Vi sono momenti in cui
per le disposizioni interiori, per i suggerimenti dell'orazione
o gli inviti della liturgia, prorompono spontanei i sentimenti
della via purgativa: «Pietà Signore! Miserere!
Fiat! Gesù mio, misericordia!». Altre volte
le aspirazioni si riferiscono alla via illuminativa: «Gesù,
siatemi Gesù!» -ripeteva san Filippo Neri-
o la popolare invocazione «Sacro Cuore di Gesù,
confido in Voi!». Altri preferiscono le orazioni della
via unitiva, che sono in se le migliori e tendono efficacemente
a mantenere l'unione con Dio: «O beata Trinitas!»
di sant'Ignazio, «Mio Dio e mio tutto» di
san Francesco d'Assisi e altrettante simili (13).
Senza
pregiudizio di quanto finora spiegato, nel caso di un'anima
senza inclinazioni o indicazioni speciali, suggeriamo quale
orazione giaculatoria di singolare valore il segno di
croce e il Gloria Patri. In generale conviene
avere una spiritualità disinvolta, senza accumulare
troppe pratiche avventizie. Prima di andare in cerca di
formule e devozioni particolari, sfruttiamo quelle che usiamo
ordinariamente. Nella giornata capita tante volte di fare
il segno di Croce o, specialmente se siamo tenuti all'ufficio
divino, di recitare il Gloria Patri (14).
Quale
migliore richiamo della presenza di Dio?!
Segnaliamo
a questo proposito l'immenso beneficio per chi ha incentrato
la vita spirituale non solamente sulla presenza di Dio in
generale, al di fuori di noi, ma sulla presenza di Dio in
noi.
Ricercare
Dio presente fuori di noi richiede un certo
sforzo immaginativo, quindi un lavoro faticoso che finisce
per stancare. Rivolgersi a Dio presente in noi,
invece, richiede un semplice sguardo di fede.
L'inabitazione
divina nell'anima in stato di grazia e, infatti, una realtà,
per cui non devo immaginarmi grandiosi scenari e neppure
-quando voglio occuparmene- intraprendere viaggi avventurosi
e fantastici fino ai confini dello spazio. Devo fare una
cosa sola: entrare in me stesso. Qui trovo il Signore (15).
Le
parole: Nel nome del Padre non mi fanno pensare
a un padre lontano mille miglia da me, oppure che mi domina
con tutta la sua immensità, davanti alla quale il
mio cuore batte trepidante di paura invece d'intenerirsi;
ma un padre vicinissimo, nascosto nell'intimo del mio cuore.
Nel nome del Padre che è qui, che ha in me la sua
casa, secondo l'espressione di padre Faber; nel nome
del Figlio che mi aspetta sulla soglia del mio cuore;
nel nome dello Spirito Santo che, penetrando la mia
vita per darle un valore eterno, non mi lascia da solo un
istante e opera sempre con me.
La
grande idea dogmatica -è utile ripeterlo- sulla quale
più facilmente si può appoggiare una vita
di raccoglimento, consiste nel pensiero di Dio presente
nelle nostre anime per mezzo della grazia santificante.
Chi
ha preso familiarità con questa idea ha tutto l'occorrente
per praticare -solo o con altri- l'unione con Dio, e per
valersi delle cose circostanti come strumenti che riconducono
sempre al centro della vita spirituale.
Anche
soli con noi stessi, abbiamo «qualcosa di sovrumano»
che continuamente ci accompagna. Se abbiamo sufficientemente
sviluppato lo spirito di fede, se conosciamo un poco il
dono di Dio, se veramente crediamo; se, per noi, «Dio
nella nostra anima» non è solo una bella formula,
un bel tema per pie dissertazioni, ma un fatto innegabile,
reale; se l'espressione «siamo i tabernacoli viventi
di Dio e veramente i suoi templi santi» ha per noi
valore di realtà, potrà ancora sembrare impraticabile
o difficile fare ogni cosa con raccoglimento?
Un'anima
di fede, quando entra in una cattedrale, abbassa istintivamente
la voce, misura i gesti e assume un atteggiamento più
composto: è alla presenza della divina Maestà,
del Grande Ospite. Tace e adora. Qualunque cosa debba fare,
non può ignorare Colui che nel tabernacolo dimora
e vive.
Siamo
altrettante cattedrali viventi, siamo per noi stessi la
nostra cappella, in noi Dio dimora e vive se siamo in stato
di grazia.
E
allora?
Allora
la conclusione è semplice e immediata: vivere e agire
come se fossimo costantemente in chiesa davanti al tabernacolo.
L'eucaristia
non è il solo sacramento della presenza reale di
Dio fra gli uomini, c'è anche il battesimo. L'inabitazione
delle tre persone divine in noi dopo il battesimo, non è
meno reale della presenza del Signore nel tabernacolo; la
differenza fra le due presenze riguarda unicamente le modalità,
ma non la loro realtà.
Perché
allora, appena usciti di chiesa, ci comportiamo come se
la presenza reale fosse scomparsa? Ciò avviene perché
la nostra fede non è abbastanza salda e siamo ancora
lontani dal comprendere questo grande dono di Dio.
Fuori
di chiesa il raccoglimento dev'essere altrettanto profondo
che dentro la chiesa, anche se per un motivo
differente (16).
L'unica
differenza deriverà dalle diverse esigenze del nostro
dovere di stato in chiesa o fuori.
In
chiesa entro per compiere pratiche di culto e atti di preghiera,
ma quando esco porto nell'intimo del cuore la presenza reale;
di conseguenza, ogni azione dovrà essere compiuta
in compagnia dell'ospite divino, dulcis hospes animae.
Non rimango immobile in un'adorazione «statica»,
poiché il mio dovere di stato mi comanda di agire;
e neppure agirò caoticamente senza spirito di adorazione,
perché la fede mi ricorda l'ospite presente in me
e che io sono un ciborio vivente.
Opero
secondo il mio dovere, ma non agisco «senza Dio»
perché l'Altissimo non mi abbandona.
Dove
potremo trovare, considerando la cosa dal lato dei principi,
una dottrina più luminosa, più semplice e
più efficace per fare sorgere dalle nostre anime
-in modo, oserei dire, incessante- un grido d'aiuto, una
parola dolce, un segno che provi a Colui che mai ci abbandona
che noi non siamo assenti, riconosciamo l'incomparabile
tesoro della sua continua presenza?
«La
fede ci attesta -scrive san Paolo della Croce- che
il nostro cuore è un grande santuario, perché
é tempio di Dio e dimora della santissima Trinità.
«Visitate
spesso questo sacro edificio e procurate che i ceri, cioè
la fede, la speranza e la carità, siano sempre accesi.
Ravvivate sovente la vostra fede quando studiate, lavorate,
mangiate, quando vi coricate o vi alzate e quando fate degli
slanci d'amore verso Dio» (17).
Su
questo argomento dobbiamo ascoltare specialmente santa Teresa
d'Avila: «Ricordate quel che dice sant'Agostino,
il quale, dopo aver cercato Dio in molti luoghi, lo trovo
finalmente in se stesso. Ora, credete che importi poco per
un'anima soggetta a distrazioni comprendere questa verità
e conoscere che per parlare con il suo Padre celeste e godere
della sua compagnia non ha bisogno di salire al cielo, ne
di alzare la voce? Per molto basso che parli, Egli, che
le è vicino, l'ascolta sempre. E per cercarlo non
ha bisogno di ali perché' basta che si ritiri in
solitudine e lo contempli in se stessa. Nonché' allora
spaventarsi per la degnazione di un tal Ospite, gli parli
umilmente come a Padre, gli racconti le pene che soffre,
gliene chieda il rimedio, riconoscendosi indegna di essere
chiamata sua figlia» (18).
Per
rassicurare quanti potrebbero stupirsi nel vedere portare
a così sublimi conseguenze pratiche una dottrina
così semplice ed essenziale, la Santa aggiunge: «Quelle
tra voi che sanno racchiudersi in questo modo nel piccolo
cielo della loro anima, ove abita Colui che la creo [...
], vanno per buona strada e non mancheranno di arrivare
all'acqua della fonte» (19).
Segue
poi un'osservazione che mira a non sottovalutare, come purtroppo
facciamo spesso, il grande dono di Dio: «Se procurassimo
di ricordarci spesso dell'Ospite che abbiamo in noi, sarebbe
impossibile, secondo me, abbandonarci con tanta passione
alle cose del mondo, perché, paragonate a quelle
che portiamo in noi, apparirebbero in tutta la loro spregevolezza»
(20).
E
termina con parole infinitamente preziose: «Io
per me vi confesso che mai seppi cosa volesse dire pregare
con soddisfazione fino a quando il Signore non mi pose su
questa via. [...] Concludo ripetendo che dipende tutto da
noi. Chi vuol arrivare a questo stato, non deve mai lasciarsi
scoraggiare. Si abitui a ciò che ho detto, e a poco
a poco si farà padrone di sé. Non solo non
perderà nulla, ma guadagnerà sé per
se stesso, facendo servire i propri sensi al raccoglimento
dell'anima. Se deve parlare, penserà che ha da parlare
in se stesso con qualche altro. Se deve ascoltare, si ricorderà
di prestare orecchio a una voce che gli parla più
da vicino. E, volendolo, constaterà di poter star
sempre con Dio, rimpiangendo il tempo in cui ha lasciato
solo un tal Padre, i cui soccorsi gli sono tanto indispensabili.
Se può, lo ricordi spesso ogni giorno, o almeno di
tanto in tanto; e, fattane l'abitudine, presto o tardi ne
caverà profitto. Dopo aver ottenuto questa grazia,
non vorrà cambiarla con alcun tesoro.
«Per
amor di Dio, sorelle, riguardate per bene impiegati tutti
gli sforzi che a questo scopo farete, giacche' nulla s'impara
senza un po' di fatica. Se vi applicate decisamente, sono
sicura che l'aiuto di Dio non vi mancherà, e solo
in un anno, o anche in mezzo, ne verrete a capo felicemente»
(21).
Un'ultima
considerazione su un argomento così importante. In
mezzo al mondo, nel contatto necessario e abituale con altre
persone, tra le faccende personali, nelle opere di carità
e d'apostolato, nelle relazioni di amicizia o di affari,
una profonda consapevolezza del donum Dei aiuta più
di ogni altra cosa a conservare la presenza di Dio.
Dio
vive in noi. Ma vive, o vuole vivere, anche nel prossimo,
che gravita intorno a noi: di conseguenza, sapendoci sempre
in mezzo a tanti tabernacoli viventi -attuali o potenziali-
è tanto facile ricordare le tre persone divine!
Neppure
in questo caso si richiedono sforzi di immaginazione o faticose
«composizioni di luogo», di cui certe anime
si sentono incapaci. Basta considerare la realtà,
non servono costruzioni mentali: è sufficiente una
semplice constatazione, per dare al reale il suo giusto
valore. Una giovane madre, per esempio, occupata ad accudire
alle molteplici cure dei suoi bambini, non dica mai «l'unione
con Dio mi è impossibile», ma pensi che è
circondata da tanti «tabernacoli» e da tante
«presenze reali» quanti sono i suoi bambini.
I suoi piccoli sono battezzati? Si. Dio vive in loro!
Il
professore, la maestra di scuola, l'industriale, ciascuno
vive immerso nel proprio mondo. Allievi, operai, capi officina
e colleghi sono -realmente o in desiderio e per destinazione
divina- altrettanti portatori di Dio. Perché vedervi
altre cose? O almeno, perché non considerare anche
questo, soprattutto questo? Il «dono di Dio»
non e solo per noi, ma anche per gli altri, che sono creati
e messi sulla terra per essere «divinizzati».
Il Salvatore ha donato per loro tutto il suo sangue. Il
soggiorno nel mondo serve proprio a prepararli al cielo
e consiste nel possedere anticipatamente le tre persone
divine, attraverso la grazia, in attesa di goderle eternamente
nella gloria.
-
Ma non ci penso!
-
Una conoscenza più esplicita e profonda del mistero
dell'inabitazione divina vi aiuterà certamente a
pensarvi più spesso.
Vantaggi
delle orazioni giaculatorie e dell'esercizio della presenza
di Dio
La pratica delle orazioni giaculatorie e dell'esercizio
della presenza di Dio è raccomandata dall'insegnamento
e dall'esempio dei grandi maestri di vita spirituale e dei
santi. Alle testimonianze gia riportate, ne aggiungiamo
altre.
«Si
procuri -dice sant'Ignazio di Loyola- la presenza
di Dio in tutte le cose, nelle conversazioni e nelle passeggiate,
nel guardare, nel gustare, nell'ascoltare e nel riflettere,
in una parola in tutto quello che stiamo facendo. Questa
maniera di meditare, che ci fa trovare Dio in tutto, è
più facile di quella che ci eleva a cose divine più
astratte e che esigono dello sforzo per potersele rappresentare.
Questo salutare esercizio, quando ci prepariamo per farlo
bene, ci attira delle grandi visite del Signore anche nel
breve tempo della nostra orazione. Esercitiamoci pure ad
offrire spesso al Signore i nostri lavori e le nostre fatiche,
pensando che le accettiamo per amore suo, sacrificando i
nostri gusti per servire in qualche maniera la sua divina
Maestà e venire in aiuto di tutti quelli,
per la salute dei quali Gesù Cristo ha accettato
la morte. Conviene esaminarsi bene su questi due punti»
(22).
«La
via più breve che ci conduce alla divina carità
-dice a sua volta Luigi di Granata- consiste nell'elevare
il nostro cuore a Dio con affetti forti e con desideri infiammati
del suo amore, conversando con Lui, in una confidenza rispettosa,
tenendoci sempre raccolti alla sua presenza» (23).
San
Francesco di Sales e san Leonardo da Porto Maurizio danno
i medesimi consigli: «Dal raccoglimento spirituale
e dalle giaculatorie dipende l'opera della devozione: se
vi è, quello può supplire al difetto delle
altre preghiere; se manca, non vi si può rimediare
con altro mezzo. Senza di esso è impossibile la vita
contemplativa e riesce malagevole e imperfetta la vita attiva;
senza di esso il riposo è ozio e la fatica impaccio.
Filotea, te ne scongiuro: abbraccialo di buona voglia e
non lasciarlo mai» (24).
Al vescovo di Ginevra fa eco il santo missionario italiano:
«Volete voi un paradiso anticipato sulla terra
e una compagnia sicura per arrivare rapidamente alla perfezione?
[...] Vivete nel raccoglimento interiore e camminate alla
presenza di Dio». Parlando poi di se stesso,
san Leonardo da Porto Maurizio diceva ancora: «La
mia vocazione sono le missioni e la solitudine: predicare
le missioni per essere sempre occupato per Dio, ritirarmi
in solitudine per essere sempre occupato in Dio. Tutto il
resto è vanità». Ognuno di
noi, se ha ben capito questo, non ha forse la medesima vocazione?
Se
i santi e i maestri di spiritualità magnificano con
tanto ardore e in cosi comune accordo di opinioni l'esercizio
della presenza di Dio e le frequenti orazioni giaculatorie,
bisogna credere che i frutti siano molto preziosi.
E
in effetti lo sono.
Il
primo vantaggio consiste nel rendere più facile l'orazione
e il distacco, che sono, come abbiamo detto, i due fondamenti
dell'unione con Dio.
Rende
più facile l'orazione. «È certo che
l'amore provoca il frequente ricordo dell'oggetto amato,
ed e anche vero che questo frequente ricordo accresce di
molto l'amore. Un'anima fedele, nel ricordarsi spesso
di Dio, sarà presto infiammata di carità e,
in proporzione alla crescita nell'amore di Dio, il ricordo
di Lui sarà così abituale da non potersene
più dimenticare» (25).
Non
solamente l'orazione in quanto tale si trova facilitata
dall'esercizio della presenza di Dio, ma anche, nel corso
della giornata, la vita di silenzio interiore, cosi necessaria
all'unione con Dio. Non attrae molto una solitudine in cui
non si percepisce nient'altro che il vuoto; ma, se si possiede
l'arte di popolarla di cose divine, la propria solitudine
allora non apparirà più cupa e austera, ma
ricca e splendidamente ricolma, piena di vita e desiderabile!
Solo coloro che coltivano la presenza di Dio e frequentemente
elevano la mente a Lui conoscono quanto sia vero il detto
di Manning: «La solitudine e il silenzio sono pieni
di realtà».
Allo
stesso modo, la pratica delle orazioni giaculatorie facilita
il distacco dalle creature. In questo siamo di solito poco
coraggiosi, perché non vediamo con sufficiente chiarezza
per chi e per cosa dobbiamo vincere noi stessi. Il pensiero
di Dio, soprattutto quando e ardente e pieno d'amore, opera
sulla tiepida cenere della nostra esistenza al pari di una
folata di vento sulla polvere: scopre la brace e ravviva
la fiamma.
I
vantaggi dell'esercizio della presenza di Dio e delle orazioni
giaculatorie non si esauriscono qui; ve ne sono molti altri.
Non c'è niente di meglio che rinnovare frequentemente
questi atti di unione, per entrare poco a poco nello stato
di unione moralmente continua (26).
Agli
inizi, potremo cominciare a intraprendere uno sforzo ragionevole
per pensare a Dio un determinato numero di volte e offrirgli
le nostre diverse azioni; poi, gradualmente, ci abitueremo
a progredire con calma (27).
Nulla
di febbrile e di affrettato, ma uno sviluppo armonioso,
virile e affettuoso dello spirito di fede. Diventa cosi
naturale l'abitudine soprannaturale di rivolgerci al Centro
di tutte le cose vivente nel centro stesso di noi, giacché
alla periferia niente più ci attira per il servizio
del Re. Appena concluso quanto ho da fare per Dio, rivolgo
a Lui il pensiero: questa dev'essere la regola della nostra
pratica di un raccoglimento che intende diventare nello
stesso tempo saggio e intenso.
L'anima
possiede allora -o si prepara cosi ad acquistare- l'unione
continua, cioè l'elevazione a Dio talmente penetrata
nella sua vita e tanto facile e spontanea, che si può
dire «elevazione ininterrotta». Non si tratta
di parole pronunciate materialmente. Il cuore resta aderente
a Dio, la volontà è tutt'uno con quella divina
e lo spirito, cosi mobile e a volte dissipato -anche se
non sempre per colpa sua-, vive proteso a purificare e a
offrire la sua intenzione prima, durante o dopo l'occupazione
di ogni momento, cosi che l'anima è simile -per usare
il paragone di san Francesco di Sales- al bambino che coglie
i fiori lungo il sentiero senza abbandonare la mano del
padre che l'accompagna. San Tommaso d'Aquino definisce l'abitudine
«una qualità stabile che dispone ad agire
con facilità». Spontaneità
e perseveranza, ecco ciò che caratterizza ogni abitudine,
compresa quella di pregare.
Un
filosofo moderno descrive molto bene la conquista progressiva
dell'unione con Dio che diventa sempre più facile.
«Un primo gradino nel progresso interiore consiste
nello sviluppo di certi stati psicologici. All'inizio, ripiegati
su se' stessi e privati, salvo rari casi, dell'occasione
di manifestarsi, sembrano acquistare a poco a poco un'importanza
che non possedevano ancora [...]. Il fedele, per cui l'amore
di Dio era ridotto a un breve raccoglimento al mattino e
alla sera davanti all Essere supremo, giunge a percepire
in sé la continua presenza dell'oggetto del suo amore;
mentre prima gli sembrava necessario uno sforzo di volontà
per pronunciare qualche formula con attenzione, ora si sente
penetrato dal bisogno di pregare [...]. Ben presto, poi,
l'universo gli appare simile a un velo trasparente che lascia
intravvedere ovunque il Creatore [...]. Ogni creatura, anche
la più umile, è un'immagine del volto di Dio
[...].
«Riconoscendo
in tutte le cose l'impronta divina, segno di comune derivazione,
queste appariranno ai suoi occhi come fratelli e sorelle
fra loro e verso se stesso. Cosi, dal primo timido
sforzo
per rivolgere la propria anima al Signore, si svilupperà,
come l'albero dal seme, un ardente amore per Dio e per ogni
cosa in Lui» (28).
Padre
Gratry si esprime con accenti più poetici: «Esistono
anime che sentono più di altre il bisogno della quiete
e del ritorno al focolare della vita. Quando una di queste
anime si è congiunta strettamente a Dio e ha gustato
la sua pienezza, pur avendo dovuto subire per lungo tempo
l'insopportabile vanità della vita mondana, viene
il momento in cui ogni affare, ogni attività esteriore,
ogni uscita verso il mondo diventano impossibili. Il mondo
è allora come un importuno che viene a guastare una
festa intima, e la necessita di subirlo può farci
giungere persino alle lacrime, come quando sopravviene un
fastidioso inconveniente mentre siamo immersi in un lavoro
ispirato; o quando una persona -conosciuta di vista, ma
non intimamente- viene a rubarci gran parte di una giornata
destinata alla preghiera o allo studio, e tormenta con discorsi
lunghi e inutili la nostra attenzione, che viene meno a
ogni parola e si concentra altrove. La vita del mondo stanca
queste anime e moltiplica i loro aneliti verso l'eterna
pace. Senza dubbio, una concezione così matura della
morte e rara, ma anche i meno progrediti nella vita spirituale
possono comprenderla e accettarla» (29).
Se
facciamo parte di quest'ultima categoria di principianti,
non meravigliamoci di dovere ancora lottare per giungere
al raccoglimento desiderato.
Coraggio...
e fiducia in Dio!
Con
l'abitudine che si può acquisire ordinariamente,
e con la grazia che moltiplica i benefici dell'abitudine,
perché non dovremmo arrivarci anche noi?
«Per
più anni -dice di sé santa Teresa- ho sofferto
anch'io il tormento di non potermi fermare sopra alcun soggetto,
e so che è molto penoso. Ma so pure che il Signore
non ci lascia mai così sole da non venirci talvolta
a tener compagnia, purché glielo chiediamo con umiltà.
Se questo non otteniamo alla fine di un anno, lavoriamo
per averlo almeno dopo molti, ne rimpiangiamo un tempo che
così spendiamo assai bene. C'è forse qualcuno
che ci spinge? Abituiamoci dunque a questa pratica, sforzandoci
di mantenerci in compagnia di questo vero Maestro»
(30).
A
sua volta, Luigi di Granata osserva: «II santo
re Davide viveva sempre alla presenza di Dio: Providebam
Dominum in conspectu meo semper (31).
Comportatevi allo stesso modo ed elevate continuamente il
cuore a Dio, senza sforzarvi troppo o farvi violenza, ma
lasciando che lo spirito si inabissi, semplicemente e amorosamente,
in questa sovrana divinità. Non affliggetevi nel
vedere che il vostro cuore per la sua naturale tendenza
a dissiparsi, è spesso distratto; cercate di raccoglierlo
prontamente e offritelo di nuovo al Signore.
«Se
avete il coraggio di sostenere questo combattimento per
qualche tempo, senza arretrare di un passo, oso assicurarvi
che l'abitudine si cambierà in natura, e non solo
non proverete più fatica a entrare nel raccoglimento,
ma non ne uscirete più. Sarete come un pesce che
non può vivere fuor d'acqua, e che, se ne fosse fuori,
farebbe di tutto per rituffarsi» (32).
Chi
si rivolge a Dio facilmente e abitualmente nel corso delle
occupazioni ordinarie, ha raggiunto l'unione con Dio moralmente
continua. I suoi rapporti con il Signore sono, nel senso
letterale del termine, relazioni di intimità.
A
questo punto, se Dio vorrà fare entrare l'anima nello
stato di raccoglimento, non soltanto acquisito,
ma anche infuso, la via sarà stata
ben preparata -nella misura in cui possiamo prepararci a
uno stato che è un dono del tutto gratuito di Dio-
dallo sforzo di mantenersi, con lo spirito di fede e un'ardente
generosità, in una presenza di Dio cosi continua
quanto è possibile umanamente.
Santa
Teresa, i cui consigli sull'argomento sono ricchi d'esperienza,
lo dichiara espressamente: «In tal modo (33)
getterete un solidissimo fondamento, in grazia del quale
il Signore, volendolo, vi potrà innalzare a grandi
cose, tanto più che mantenendovi a Lui vicine, ne
avete gia la disposizione» (34).
Non
vogliamo qui penetrare nel mondo delle «grandi cose»
a cui la santa allude: andremmo fuori dal tema che ci eravamo
proposti, e cioè come sia possibile, con le nostre
risorse naturali aiutare dalla grazia comune, conquistare
l'unione con Dio e pervenire al massimo grado di raccoglimento
acquisibile con il nostro libero sforzo.
D'altra
parte, regole e consigli sono meno utili della raccomandazione
alla docilità, all'umiltà e al dono totale
di sé, senza riserve, per le anime a cui Dio -con
tocchi momentanei o permanenti- elargisce il raccoglimento
infuso.
Lo
Spirito Santo si prende cura di istruirle, e lo fa senza
strepito di parole.
Possiamo
quindi tacere e utilizzare il silenzio, che conviene fare
seguire a ogni lavoro, per chiedere al Signore di benedire
quanti leggeranno queste pagine e di comunicare loro, il
più generosamente possibile, le gioie proprie del
«pregare sempre».
CONCLUSIONE
Se
questo libro dovesse avere anche un solo lettore, a questo
lettore -sconosciuto, ma profondamente amato in Gesù
Cristo- vogliamo dare un ultimo consiglio. Sono parole di
san Giovanni della Croce, forse il più grande maestro
della vita spirituale. «Poiché al momento
della resa dei conti ti dovrai pentire di non avere impiegato
bene questo tempo nel servizio di Dio, perché ora
non lo ordini e non lo impieghi come vorresti aver fatto
in punto di morte?» (35).
Se
il lettore è un'anima da tempo risoluta a essere
tutta di Dio e gia intenta con tutto il cuore nell'amarlo,
ma desiderosa d'amarlo ancora di più, ricorderemo
quest'altro pensiero, tratto dagli stessi Avvisi e Sentenze
spirituali e che guarda veramente lontano.
«Non
ti mostrare alle creature, se nella tua anima desideri conservare
chiara e semplice la faccia di Dio. Piuttosto vuota e distacca
del tutto il tuo spirito da quelle e camminerai sotto la
divina luce, poiché Dio non è simile ad esse»
(36).
1
S. TERESA DI GESÙ, Opere, trad. it., 5ª
ed., Postulazione generale O.C.D., Roma 1969, p. 676.
2
Santa Margherita Maria Alacoque confessava di sentirsi
spesso più unita a Dio nei momenti dei pasti.
3
FRANÇOIS FÈNELON, Instruction et Avis,
Oeuvres, n. 7, Vivès, 1854, tomo I, pp. 530 ss.
4
Viene riferito, nella celebre opera Vitae Patrum,
che un santo eremita aveva elevato centotre volte il cuore
a Dio in una conversazione (Cfr. MIGNE, PL, tomo LXXIII,
col. 943). Notiamo che i cenobiti e i primi monaci, a quanto
sembra, non erano abituati a lunghe orazioni. In una lettera
a Proba, sant'Agostino scrive: «Si dice che i nostri
fratelli in Egitto pregano frequentemente, ma le loro preghiere
sono molto brevi, simili a dardi scoccati verso il cielo».
È interessante notare il motivo: «Per timore
che l'attenzione, cosi necessaria nelle preghiere di maggior
durata, finisca per illanguidirsi e spegnersi» (Cfr.
MIGNE, PL, tomo XXXIII, col. 501). L'osservazione, psicologicamente
molto profonda, depone a favore della necessita di un metodo
di orazione, almeno per i principianti che desiderano esercitarsi
con frutto nella preghiera per quanto poco prolungata.
5
Don Chatel, nell'opuscolo L'exercise angélique
des oraisons jaculatoires, raccoglie altri interessanti
esempi.
6
Anche la santa aveva adottato la pratica di offrire
a Dio, cinquanta volte al giorno , il Preziosissimo Sangue
di Gesù Cristo per la conversione dei peccatori e
in suffragio delle anime del purgatorio.
7
P. DOMINIQUE BOUHOURS S.I., La vie de S. François
Xavier, Lione 1821, libro VI.
8
È evidente che queste aspirazioni, visto l'eccezionale
numero, non potevano essere sempre formulate esplicitamente;
spesso consistevano in semplici elevazioni della mente,
sia un battito del cuore, sia uno slancio dell'anima.
Padre
Doyle nacque a Melrose (Irlanda) nel 1873. Entrato nella
Compagnia di Gesù, si distinse come predicatore di
Missioni popolari e grande direttore di anime. Allo scoppio
della prima guerra mondiale si arruolo come cappellano,
prodigandosi eroicamente. Morì ad Ypres nel 1917,
a 44 anni, colpito da una granata mentre assisteva un ferito.
9
DIEGO ALVAREZ DE PAZ S.I., De Inquisitione pacis,
libro IV, parte III, cap. 10, Lugduni 1617.
10
Osserviamo che un certo disgusto proveniente non da
eccessiva fatica, ma da semplice debolezza spirituale, non
legittima l'abbandono delle pratiche di pietà se
il nostro spirito di fede -con l'assenso del direttore spirituale-
dopo avere ben riflettuto, alla presenza di Dio, ha deciso
di effettuarle. I ritiri mensili, e soprattutto gli Esercizi
annuali, servono anche per mettere a punto questi aspetti
della nostra vita interiore.
11
P. JEAN-PIERRE DE CAUSSADE S.I., L'abandon à
la Divine Providence, tomo II, libro VI, lettera XVII
(trad. it., L'abbandono alla divina provvidenza,
4ª ed., Paoline, Roma 1979).
12
S. FRANCESCO DI SALES, Filotea, a cura di don
Eugenio Pilla, 2ª ed., Cantagalli, Siena 1975, pp.
87-88 .
13
Per utili suggerimenti in merito, cfr. p. ALFONSO RODRIGUEZ
S.I., Esercizio di perfezione e di virtù cristiane,
trad. it., Paoline, Roma 1968, parte I, trattato VI, cap.
III, pp. 390-393.
14
Il Gloria Patri era la giaculatoria preferita
di san Gerolamo, che la invio a papa Damaso; questi volle
che si recitasse nel Breviario alla fine di ogni salmo.
È impossibile al sacerdote riflettere su ogni versetto
che pronuncia nell'ufficio. Cercare di ritrovare se stesso,
o meglio la santissima Trinità in ogni Gloria, è
quindi una pratica facile e devota!
15
Sulla presenza di Dio all'inizio della meditazione,
il padre Brou osserva: «Tra tutti i modi di mettersi
alla presenza di Dio, questo (cercare Dio in se stessi)
è forse il più efficace , almeno per chi è
abituato a fare orazione; e i santi ce lo raccomandano particolarmente»
(Saint Ignace, maître d'oraison, edizioni Spes,
Parigi, p. 54; trad. it. Sant'Ignazio maestro d'orazione,
Civiltà Cattolica, Roma 1954).
16
Il monaco, discepolo di san Bernardo, che compose le
Meditationes Piissimae scriveva: «Ubicumque
fueris, in lecto aut in alio loc o, ora, et ibi est templum»;
«ovunque tu sia, raccogliti e prega: non occorre
cercare un apposito luogo di preghiera, perché tu
stesso gia lo sei. Fossi anche a letto, il tuo giaciglio
sarà la tua chiesa» (Opera Sancti Bernardi,
Venezia 1727, col. 370).
17
Nel XVII secolo, nelle Pratiche per conservarsi alla
presenza di Dio (ed. Nicolas Balthazard, Nancy 1713),
si raccomandava «il semplice, ma amoroso, ricordo
di Dio presente in noi».
Semplice:
«si può fare senza immagini, senza atti
esteriori, senza ragionamenti e senza sforzo intellettuale;
questa vista di Dio non disturba le nostre occupazioni,
anzi le facilita: alla presenza di un amico si lavora meglio».
Amoroso:
«non è necessario fare un atto particolare
d'amore divino, basta un implicito desiderio di piacere
a Dio, misura del nostro amore nei suoi confronti».
Presente
in noi: «non èproibito considerare l'onnipresenza
divina -specialmente se ci si riesce con facilità-
ma questo particolare modo di vedere Dio presente in noi
fu molto stimato dalla maggior parte dei santi perché
è assai utile per condurre al vero raccoglimento».
18
S.TERESA DI GESÙ, Cammino di perfezione,
in Opere, cit., cap. 28, p . 166.
19
Ibid., p. 667.
20
Ibid., p. 670.
21
Ibid., cap. 29, pp. 675-676.
22
SANT'IGNAZIO, Lettere, ed. Menchaca, 1804, pp.
223-226.
23
LUIGI DI GRANATA O.P., L'amor di Dio, parte II,
cap. IX, p. 126.
24
S. FRANCESCO DI SALES, Filotea, cit., parte II,
cap. XIII, p. 92. Nel ritiro di preparazione alla sua consacrazione
episcopale, il santo vescovo aveva preso questa risoluzione:
«Cercherò di sforzarmi nella pratica delle
orazioni giaculatorie quotidiane».
25
LUIGI-FR. D'ARGENTAN, Le ciel da n s l'â me
chretienne, p. 23.
26
Diciamo moralmente continua perché, come
abbiamo visto nelle prime pagine, l'unione materialmente
continua è impossibile senza una speciale grazia
di raccoglimento infuso; infatti, le nostre possibilità
di esercitare l'attenzione sono molto limitate.
27
Preziosi consigli per abituarsi prudentemente, metodicamente,
efficacemente al raccoglimento, si trovano in Sant'ALFONSO
DE LIGUORI, La Vera Sposa di Cristo, 2 voll., Paoline,
Alba 1933-1934.
28
ETIÈNNE GILSON, Essai sur la vie i nté
rieure, in Revue Philosophique, gennaio-febbraio
1920, p. 31.
29
A . GRATRY, Meditations i né dites, cit.
30
S. TERESA DI GESÙ, Cammino di perfezione,
cit., cap. 26, p. 657.
31
«Io pongo sempre innanzi a me il Signore»
(Sal 15, 8).
32
LUIGI DI GRANATA O.P., L' amor di Dio, cit.,
parte II, cap. IX. In precedenza aveva scritto: «Come
un pezzo di legno che, spinto per forza in fondo
all'acqua, ritorna immediatamente a galla». In
seguito completa il suo pensiero: «Se gli affari
del mondo, che non si possono sempre evitare, vi impediscono
talvolta di rimanere raccolti, perseverate quanto potete
nel vostro buon proposito ; sforzatevi di non uscire del
tutto da voi stessi e fate che almeno una parte del vostro
cuore rimanga sempre vicino a Dio e lo contempli».
33
Abbiamo gia fatto osservare che santa Teresa d'Avila
tratta soprattutto, almeno in questo punto, del culto di
Dio «presente in noi».
34
S. TERESA DI GESÙ, Cammino di perfezione,
cit., cap. 29, p. 676.
35
S. GIOVANNI DELLA CROCE, Parole di luce e di amore,
n. 74. in Opere, trad. it., 4a ed., Postulazione
Generale dei Carmelitani Scalzi, Roma 1979, p. 1092.
36
Ibid., n. 25, p. 1086.