Come
pregare sempre
I
- I PRINCIPI
3.
Pensare spesso a Dio è utilissimo
Non
ci può essere stato di preghiera senza rinuncia abituale
di sè
Finora
siamo giunti a queste conclusioni: non si può pensare
sempre a Dio, il che non è peraltro necessario. Si
può essere costantemente uniti a Dio anche senza
pensare costantemente a Lui: la sola unione veramente richiesta
è quella della nostra volontà con la volontà
di Dio.
Qual
è allora l'utilità, così lodata da
tutti i maestri di spiritualità, dell'esercizio della
presenza di Dio?
È
ciò che cercheremo di spiegare
Dicevamo
che in tutte le nostre azioni dobbiamo avere una totale
purezza d'intenzione e dare al nostro dovere di
stato, generosamente osservato, il massimo orientamento
soprannaturale. In tal modo la nostra vita, anche al di
fuori dei momenti dedicati alla preghiera, sarà una
vita d'orazione.
Si
comprende che, per agire così in maniera costante
e con un'assoluta purezza d'intenzione, per
renderci sufficientemente liberi dal capriccio e dall'affanno
nell'operare, per rimanere padroni di noi stessi -o piuttosto
perché Dio sia l'unico padrone e le nostre azioni
siano in tutto sotto l'influenza dello Spirito Santo- deve
essere di grande aiuto l'abitudine di rivolgere uno sguardo
a Dio prima di cominciare un'azione o di prendere una decisione.
Nel
Vangelo vediamo sempre che nostro Signore, quando si accinge
a compiere atti importanti, si arresta un attimo, alza gli
occhi al Padre, e solo dopo qualche istante di raccoglimento
intraprende l'opera voluta. Et elevatis oculis in caelum:
è un'espressione che si ritrova con eloquente
frequenza. E anche quando non manifesta il gesto all'esterno,
nel suo animo è certamente presente.
L'ideale
è lo stesso anche per noi. Questa dipendenza speciale
e costante dell'anima dallo Spirito Santo, si trova particolarmente
agevolata dal fatto che lo Spirito Santo, collocato al posto
d'onore nell'anima, è invitato a prendere esplicitamente
e ufficialmente la direzione di tutte le nostre determinazioni.
È impossibile praticare perfettamente la rinuncia
a se stessi senza un profondo spirito di raccoglimento;
non ci si può sottomettere radicalmente all'Ospite
invisibile dell'anima se non ci si mantiene con Lui
in una perfetta intimità. Lo spirito di morte, cioè
il rinnegamento di se stessi, non può regnare
se non quando lo spirito di vita si è insediato vittorioso
sulle rovine, e «vola sulle acque» come all'inizio
della creazione.
Non
consente certo di cacciare i mercanti dal tempio chi non
si sforza di diventare un «Sancta Sanctorum»,
cioè non una casa di traffico, ma una vera dimora
vivente di Dio.
Si
traggono così due luminose conclusioni:
-
non si può dipendere in maniera assoluta dallo Spirito
Santo -cioè vivere veramente «in Cristo»-
senza totale rinuncia a se stessi;
-
non c'è totale rinuncia senza un costante spirito
di fede, senza l'abitudine del silenzio interiore, silenzio
tutto popolato di divino.
I
più non vedono il legame esistente tra ricordo del
Re e servizio del Re; tra silenzio interiore fatto -sembra-
di immobilità e continuo distacco da tutto,
che e suprema attività.
Basta
osservare attentamente. Il legame esiste, stretto, forte,
infrangibile. Cercate un'anima raccolta, sarà anche
distaccata dalle cose terrene; un'anima distaccata, sarà
anche raccolta. Sarà facile costatarlo nella misura
in cui sarà facile trovare l'una o l'altra di queste
due anime. Trovare l'una o l'altra significa aver trovato
l'una e l'altra. Chi si è esercitato nella pratica
del distacco o del raccoglimento, sa di aver fatto una doppia
conquista con una sola azione.
Non
ci può essere rinuncia abituale di sè senza
costante raccoglimento
Se
un'anima, per essere pienamente «Cristo» e pienamente
cristiana, deve vivere nella totale dipendenza dallo Spirito
Santo, e se si può vivere in questa dipendenza solo
a condizione di vivere raccolti, va da sè che il
raccoglimento -inteso come abbiamo spiegato- costituisce
una delle più preziose virtù che si possano
acquistare.
Padre
Pergmayr, uno degli autori che meglio ha parlato, in modo
conciso ed essenziale, del raccoglimento, non esita ad affermare:
«La via più breve all'amore perfetto consiste
nell'avere Dio continuamente presente: ciò fa evitare
ogni peccato e non lascia tempo di pensare ad altre cose,
di lamentarsi o mormorare. La presenza di Dio, presto o
tardi, conduce alla perfezione».
Non
cercare di vivere nel silenzio interiore, vuole dire rinunciare
a vivere profondamente da cristiano. La vita cristiana è
vita di fede, vita nell'invisibile e per l'invisibile...
Chi non ha frequenti rapporti con questo mondo che sfugge
ai sensi esterni, rischia di restare sempre sulla soglia
della vera vita cristiana.
«Sì,
bisogna smetterla di abitare solo l'esterno e gli strati
più superficiali della nostra anima; bisogna entrare
e penetrare nei più profondi anfratti, dove ci troveremo
finalmente nel più intimo di noi stessi. Qui giunti,
dobbiamo procedere oltre ed andare fino al centro! che non
è più in noi, ma è in Dio. Là
c'è il Maestro, che talvolta ci potrà concedere
di abitare con Lui anche un giorno intero.
«Quando
ci avrà permesso, per una volta, di trascorrere un
giorno con Lui, lo vorremo seguire sempre e ovunque, come
suoi apostoli, suoi discepoli e suoi servitori.
«Si,
o Signore, quando potrò stare un giorno intero con
Te, vorrò seguirti sempre» (1).
La
solitudine è la patria dei forti. La fortezza
è una virtù attiva e il silenzio che sapremo
praticare indicherà il valore delle nostre opere
(2). Il rumore è la patria dei deboli. La
maggior parte degli uomini cerca il divertimento e le distrazioni
unicamente per dispensarsi dall'agire come dovrebbe. Ci
si perde nel nulla per non perdersi nel tutto. Il Dio dei
forti è venuto al mondo nel silenzio della notte
(3). Vittime delle apparenze, noi apprezziamo solo ciò
che fa rumore. Il silenzio è il padre dell'azione
efficace. Prima di zampillare cantando, il filo d'acqua
sorgente si è aperto il varco forando silenziosamente
il duro granito.
È
chiaro che quando raccomandiamo così il silenzio,
intendiamo il silenzio interiore; é questo che dobbiamo
imporre alla nostra immaginazione e ai nostri sensi, per
non venire ad ogni istante, nostro malgrado, proiettati
al di fuori di noi stessi.
Se
si lascia continuamente il forno aperto -per usare una espressione
di santa Teresa- il calore si disperde. Occorre parecchio
tempo per riscaldare l'atmosfera, ma basta un istante perché
tutto il tepore se ne vada; una fessura nella parete, e
penetra l'aria fredda: tutto e da rifare, tutto da riconquistare.
Eccellente
protezione del silenzio interiore e il silenzio esteriore;
e la ragione delle grate e dei chiostri. Ma anche in mezzo
al rumore, ciascuno può costruire attorno a sè
una zona di deserto, un'aureola di solitudine che non lascia
trapelare nulla indebitamente.
L'inconveniente
non è il rumore, ma il rumore inutile; non sono le
conversazioni, ma le conversazioni inutili; non le occupazioni,
ma le occupazioni inutili. In altri termini: tutto ciò
che non serve, nuoce in modo deplorevole. Dare all'inutile
ciò che si potrebbe offrire all'Essenziale è
un tradimento e un controsenso!
Ci
si può allontanare da Dio in due modi differenti,
ma entrambi disastrosi: il peccato mortale e la distrazione.
Il peccato mortale rompe oggettivamente la nostra
unione con Dio; la distrazione volontaria la rompe soggettivamente
o ne diminuisce l'intensità che potrebbe avere.
Bisognerebbe parlare solo quando lo stare zitti fosse cosa
peggiore. Il Vangelo dice che dovremo render conto non solo
delle parole cattive, ma anche di ogni parola oziosa.
Dobbiamo
mettere sapientemente a profitto la nostra vita, e quindi
sopprimere tutto ciò che ne diminuisce i buoni frutti;
specialmente nella vita spirituale, che è la più
importante.
Quando
si pensa all'interesse che prova la maggior parte delle
persone per le cose di nessun valore, per i rumori della
strada, l'agitarsi di un burattino o le sciocchezze stampate
su tanti quotidiani, sembra proprio di sognare! Quale felicità
si avrebbe d'un tratto nel mondo se, per un caso insperato,
scomparissero in un baleno tutti i rumori inutili! Se tacessero
anche solo quelli che parlano per non dir nulla. Che liberazione,
sarebbe il paradiso! I chiostri sono oasi di pace perché
vi si insegna il silenzio. Non sempre ci si riesce; ma almeno
si insegna, ed è gia tanto. Altrove non si tenta
neppure. Non che il parlare non sia una grande arte e la
conversazione un prezioso sollievo, anzi, forse il più
prezioso dell'esistenza; ma non bisogna confondere l'uso
con l'abuso. Per festeggiare l'armistizio o il milite ignoto,
alcuni hanno richiesto qualche minuto di silenzio: questo
silenzio era conseguente alla vittoria. Se il mondo imparasse
a tacere, quante vittorie interiori seguirebbero alla pratica
del raccoglimento! Chi custodisce la propria lingua, dice
san Giacomo, è una specie di santo (4).
Vi sono poche anime perfette perché poche anime amano
il silenzio. Silenzio significa perfezione; non sempre,
ma spesso. Provate, ne vale la pena; sarete sbalorditi dal
risultato.
1
AUGUSTE JOSEPH ALPHONSE GRATRY, Meditations inédites
(trad. it., Meditazioni inedite, Paoline,
Alba 1950, p. 154).
2
«Senza questa cella interiore non si potranno
fare grandi cose, ne per sé ne per gli altri»
(p. JEAN-JOSEPH SURIN S.I.).
3
Padre Faber, su come nostro Signore ha praticato il
silenzio, ha scritto: «II silenzio è sempre
stato l'ornamento della grande santità, il che significa
che contiene in se' qualche cosa di divino. Ed è
una vita di silenzio quella che il Verbo, proferito silenziosamente
da tutta l'eternità, ha scelto per se stesso; e del
silenzio tutta la sua vita umana ha portato l'impronta.
Nella sua infanzia ha lasciato che il linguaggio apparisse
e sbocciasse sulle sue labbra lentamente; quasi lo acquistasse
a gradi come gli altri bambini. Così, aiutandosi
con queste apparenze, poté astenersi più a
lungo dal parlare e differire persino i suoi colloqui con
Maria. Anche Maria e Giuseppe contrassero da Lui, per celeste
contagio, l'abitudine del silenzio, e durante gli anni della
vita nascosta il silenzio ha regnato sovrano nella santa
dimora di Nazareth. Le parole vibravano nell'aria rare e
brevi, simili ad una melodia così soave che la nota
seguente non spegneva mai ne sopraffaceva la nota precedente
che ancor tremava all'orecchio di chi stava in ascolto.
Nei tre anni di ministero, consacrati alla parola e all'insegnamento,
Gesù parlo come avrebbe parlato un uomo tranquillo
e amico del silenzio, o meglio come un Dio, che facesse
delle rivelazioni. Poi, nella sua Passione, quando insegnò
con il magnifico cammino delle sue sofferenze, il silenzio
ricomparve di nuovo, come un'antica abitudine ritorna al
momento della morte, e divenne una volta di più uno
dei tratti caratteristici della sua vita» (p.
W.F. FABER, Betlemme, cit.).
4
«Si quis in verbo non offendit, hic perfectus
est vir». «Se uno non offende
nel parlare, è un uomo perfetto» (Gc
3, 2). «Sit omnis homo velox ad audiendum,
tardus autem ad loquendum». «Siate
pronti ad ascoltare, lenti a parlare» (Gc
1, 19). Si prende invece l'abitudine opposta:
tutti parlano e nessuno ascolta; specialmente non si ascolta
Colui che converrebbe ascoltare più di tutti: il
Maestro interiore.