Come
pregare sempre
I
- I PRINCIPI
1.
Pensare sempre a Dio è impossibile
Motivo
di questa impossibilità
Si
impone fino dall'inizio una distinzione da cui scaturirà
una grande luce: non bisogna confondere gli atti di preghiera
con lo stato di preghiera. Preciseremo più avanti
in che cosa consista lo stato di preghiera.
Quanto
agli atti di preghiera, nessuno si può confondere.
Secondo che l'orazione sarà vocale o mentale, i nostri
atti di preghiera saranno parole recitate con le labbra
oppure intime aspirazioni - formulate o no - che partono
dal cuore, oppure slanci o silenzi unitivi. In entrambi
i casi il nostro pensiero è occupato o cerca di occuparsi
di Dio.
I
nostri atti di preghiera sono momenti di unione affettiva
della nostra mente con Dio.
Questi
momenti - ecco il problema - possono essere così
frequenti da costituire una trama pressoché continua?
O meglio. il mio pensiero può occuparsi incessantemente
di Dio? Posso pensare solo a Dio?
No;
e vi è una duplice impossibilità.
Anzitutto
impossibilità pratica. Il nostro dovere
di stato ci impone un grande numero di atti diversi dagli
atti formali di preghiera: una lezione da preparare o da
svolgere, un lavoro di casa o un'opera di carità,
una occupazione intellettuale assorbente. E se a rigore
è vero che, in mezzo alle occupazioni materiali,
si può pensare ad altro senza compromettere l'azione
in corso, è pur vero che un'occupazione anche solo
esteriore, nella maggior parte dei casi e per la maggioranza
delle persone, assorbe tutta l'attività intellettuale.
Così
esige la nostra naturale debolezza. Più avanti tenteremo
di dire come, con metodo e saggezza, si possa prendere qualche
misura; ma il fatto rimane. Immersi nel sensibile, con l'invisibile
abbiamo solo rapporti difficili e sempre frammentari. Composti,
come siamo, di anima e di corpo, non ci si può chiedere
- e nessuno lo può esigere - una vita da puro spirito.
A
questa difficoltà pratica si aggiunge una difficoltà
di ordine psicologico.
Anche
se le occupazioni esteriori fossero ridotte al minimo, e
se l'anima - come accade nelle vocazioni contemplative -
fruisse di una buona parte del suo tempo per dedicarsi all'orazione,
anche allora esercizi continui di preghiera sarebbero impossibili,
pena il portare entro breve lasso di tempo al male di capo
e all'impotenza radicale.
Non
siamo serafini. Anche gli orari dei contemplativi sono interrotti
da occupazioni diverse dalla contemplazione. Nessuno può
aggiungere continuamente a esercizi di preghiera altri atti
di preghiera.
È
dunque, un'illusione il non voler perdere in nessun momento
il pensiero e il ricordo di Dio. La nostra capacità
mentale non è adatta a ciò.
Dio
può indubbiamente dare a un'anima speciali favori
e concederle di vivere continuamente, o quasi continuamente,
con il ricordo o il senso della sua presenza.
Ma
allora non ci troviamo più di fronte a una presenza
di Dio,
risultato normale dei nostri sforzi. È Dio ad abbandonarsi
al piacere di colmare la nostra imperfezione circondando
l'anima con una «cappa» di raccoglimento (1)
più o meno impenetrabile ai rumori dell'esterno.
Questo stato può andare dal semplice «tocco
mistico», temporaneo e spesso molto breve, all'unione
continua. In quest'ultimo caso la «cappa» è
permanente; l'anima non possiede la cara presenza a sprazzi,
ma ne gioisce stabilmente. Questo può provocare in
essa, all'inizio, momenti di assorbimento che la rendono
più o meno inadatta a combinarsi con il suo ambiente
ordinario: ciò che vede dentro è profondamente
diverso dalle scene di cartapesta in cui scorre il mondo
che la circonda !
All'ultimo
stadio dell'unione (2) l'anima concilia
benissimo la sua vita nella regione del sensibile con la
sua vita nell'invisibile, e anche nelle occupazioni esteriori,
vissute apparentemente come tutti, conserva nell'intimo
il perpetuo contatto con il divino Maestro. Essa è
legata ed è libera; ed è tanto più
libera, quanto più è legata alla somma libertà
da cui dipende nel modo più assoluto.
I
maestri spirituali sono unanimi nel riconoscere che le anime
favorite da quest'ultimo grado di unione con Dio sono rare.
L'accordo è meno grande sul numero delle anime d'orazione
dotate più o meno di periodi di raccoglimento «infuso».
Tutti pensano che in ogni caso questo raccoglimento «infuso»
superi il semplice potere umano, e che nessuno lo possa
pretendere di diritto, neanche a prezzo dei più grandi
sforzi. Ma gli uni pensano che se un'anima, psicologicamente
capace e in condizioni che non la ostacoleranno in nulla,
si dà alla vita perfetta, si mortifica in tutto e
prega, giungerà di fatto - benché Dio non
sia tenuto a concederglielo - al raccoglimento «infuso»,
almeno allo stato incipiente. Dio, dicono, desidera tanto
donarsi che dove trova un'anima ben disposta e totalmente
distaccata, le si comunicherà certamente. Certamente,
sì, rispondono gli altri; ma siamo certi proprio
in questo modo?
Siamo
indubbiamente creati per la visione di Dio, ma al termine
della nostra vita. Nel mondo della fede siamo «viatori».
Dire che ogni anima mortificata è chiamata a lasciare
questo mondo della fede per entrare già nel mondo
del possesso diretto di Dio, non significa fare di queste
anime dei «semi - viatori»? Inoltre, si obbietta
ancora, non abbiamo forse esempi di persone assolutamente
distaccate, che hanno vissuto a lungo, in apparenza atte
a tale dono e che tuttavia non hanno mai avuto l'ombra di
una grazia mistica?
Non
è qui la sede per prendere posizione in questa discussione.
In
ogni caso, il raccoglimento «infuso» - sia o
non sia, di fatto, l'esito normale del raccoglimento «acquisito»
- è sempre per sé stesso, e di diritto, indipendente
dai nostri sforzi. Per questo non è possibile indicare
una tecnica, e tanto meno una tecnica infallibile per disporsi
a esso.
Difficoltà di pensare ininterrottamente a Dio, anche
solo per un certo tempo
Non
così per il raccoglimento detto «acquisito».
Questo dipende completamente da noi, con la grazia di Dio,
s'intende, ma una grazia che resta nel campo delle grazie
ordinarie.
Tuttavia,
è importante precisare l'estensione e i limiti di
questa azione dell'uomo sulla sua immaginazione, sulla sua
sensibilità, sul suo pensiero.
Sul
suo pensiero l'uomo ha un dominio diretto: possiamo
pensare a ciò che vogliamo. Non è lo stesso
quanto all'immaginazione e alla sensibilità, sulle
quali abbiamo solamente un potere indiretto: immagini
e reazioni sensibili si introducono e operano in noi senza
di noi, anzi, troppo spesso, contro di noi! Il nostro potere
consiste unicamente nel porci in condizioni di calma, nel
renderci l'ambiente favorevole. Non posso impedire a un'immagine
di attraversarmi la mente, ma posso impedire a me stesso
di facilitare l'entrata a certe immagini. Nonostante tutto
esse forse vi entreranno, ma almeno non le avrò aiutate.
L'immaginazione
e la sensibilità sono le due pazze di casa; posso
limitarne le scorrerie e circoscrivere il campo delle loro
evoluzioni, ma tenerle completamente a freno è impossibile.
Anzi, nei momenti in cui più si desidera un po' di
pace, per esempio nella preghiera o un lavoro impegnativo,
eccole insinuarsi e cominciare la loro sarabanda, a volte
persino la loro ossessione.
Da
queste constatazioni psicologiche elementari risulta evidente
che le nostre possibilità di raccoglimento sono a
un tempo grandissime e piccolissime.
Piccolissime,
perché memoria e immaginazione cercano incessantemente
e nostro malgrado di distrarci, e Dio solo sa come! San
Gerolamo, nella solitudine del deserto, era perseguitato
dal pensiero delle feste romane; sant'Antonio abate da fantasmagorie,
che artisti e pittori hanno rappresentato in modo tanto
suggestivo.
Grandissime,
perché siamo sempre padroni, in ogni momento, di
riportare virilmente la nostra mente al suo soggetto; padroni,
soprattutto, di allontanare da noi in una misura molto vasta
le cause preventive di distrazione.
Tutti
i maestri insistono su questo punto quando parlano della
preparazione remota all'orazione.
Chi
si getta a corpo morto nel mondo, nelle frivolezze, nei
piaceri anche innocenti, non ha ragione di lamentarsi se
poi rimane a lungo senza riuscire ad occuparsi di Dio, o
se si trova arido e senza pensieri al momento della preghiera.
Il contrario sarebbe sorprendente.
Ho
un bel provare a pregare, si dice talora, non giungo a nulla.
Basta che mi metta in ginocchio perché subito, come
uno stormo di passeri su delle briciole, le distrazioni
si abbattano ne a mia mente e la becchino senza lasciarmi
un attimo di riposo.
Non
avete seminato voi stessi le briciole accogliendo tutte
le distrazioni possibili, le conversazioni inutili, le letture
frivole, le curiosità vane e il resto? Appena vi
fermate, l'immaginazione si dà alla pazza gioia.
Non vi sembra naturale?
C'è
tutta un'arte di conservare limpido il pensiero, di purificare
la mente, di decantare le immagini e di setacciare le impressioni.
Se ogni fantasia può entrare in noi come in un mulino
e gettare sotto la macina ciò che le piace, presto,
invece della farina di grano puro, quanta paglia inutile
si troverà! Di chi sarà la colpa?
Poiché
si distrugge realmente soltanto ciò che si sostituisce,
il problema non sarà tanto nell'allontanare dall'immaginazione
e dalla sensibilità immagini e impressioni inutili,
quanto nel suggerire alle due facoltà materia proficua;
ci si dovrà dunque sforzare di vivere abitualmente
con una riserva di immagini e impressioni sante e feconde.
Da
ciò una sorta di circolo vizioso interessante.
Per
custodire il raccoglimento abituale, il mezzo migliore sarà
la fedeltà all'orazione.
Per
pregare bene, la condizione migliore sarà il raccoglimento
abituale.
Non
senza ragione sant'Ignazio raccomanda, a chi vuole pregare
con profitto, di preparare l'argomento della meditazione
fin dalla sera precedente, per «occupare» la
memoria. Poi addormentarsi pensando all'argomento scelto
e, appena alzati, intrattenervisi tranquillamente per tutto
il tempo della levata. È un consiglio da maestro
di ascetica, ma anche da maestro di psicologia. Inoltre,
al momento della preghiera, se si è soli, raccomanda
di non mettersi subito in ginocchio, ma di restare in piedi
a qualche passo dal luogo della meditazione e riflettere
alcuni istanti sulla presenza di Dio, poi, baciare la terra
per umiliare il corpo e associarlo all'atteggiamento religioso
dell'anima.
È
la preparazione prossima, che così completa l'opera
della preparazione remota. Si è tentati di ritenere
tutto questo minuzia, ma chi ha seriamente cercato di pregare,
non ignora che bisogna invece chiamarlo saggezza e accorto
buon senso (3) .
Passare
alla preghiera, come fanno alcuni, appena usciti da un'occupazione
impegnativa senza alcuna transizione e poi sperare che,
appena in ginocchio, si produca il silenzio interiore e
abbondino i pensieri divini, è un errore. L'uomo
è tutto di un pezzo. Non vi sono in lui compartimenti
stagni, ma entra con tutto se stesso in ogni fase della
sua attività. Necessitano prodigi di abilità
per lasciare alla porta quanto non si vuole inginocchiare.
Talora si ha un bel da fare: con tutta la buona volontà
non si riesce a restare padroni di sé durante la
preghiera. A maggior ragione non si riuscirà se una
volontà previdente non ne ha preservato la soglia.
In
senso inverso, la pratica dell'orazione servirà da
miglior preparazione alla vita di raccoglimento.
Si
tratta di introdurre in noi un deposito di immagini e di
impressioni utili per la preghiera. Niente ci aiuterà
meglio dell'abitudine quotidiana di una volontaria presa
di contatto con Dio. Giustamente la fondatrice delle Oblate
del Sacro Cuore, Louise Thérèse de Montaignac,
diceva: «Abituarsi ad amare ad ore determinate attira
la felice abitudine di rientrare in Dio ad ogni momento».
Sperare
di vivere raccolti senza darsi alla preghiera è un
calcolo errato e una pesante illusione (4).
Pregare quando si deve e si può, e nel migliore dei
modi, è il mezzo più idoneo per imparare a
pregare sempre. Ritorneremo sull'argomento.
1
Gli autori definiscono questo genere di raccoglimento, raccoglimento
infuso; lo distinguono cosi da quello che è frutto
dei nostri sforzi, che denominano raccoglimento acquisito
(ma che meglio si direbbe conquistato).
2
«Unione trasformante o matrimonio spirituale»
3
La Chiesa, con le pratiche dell'acqua benedetta, della genuflessione
e del segno della croce non vuole dare altro che il senso
della vicinanza divina all'anima che entra nel luogo santo.
4
«Si rimane alzati sedici ore. Non si troverà
1/16 della propria giornata? Macché! Vi sono proprio
sedici cose più importanti tutti i giorni?»
(P. BOUILLON S.I., Dernières pensées, Librairie
du S.C., Lione, p. 72). Ciò per la meditazione di
un'ora; se è solo di mezz'ora o di un quarto d'ora
il tempo si riduce a 1/32 o 1/64.