Un giorno, Gesù fa uscire dalla folla un
fanciullo e pronuncia queste parole:
In verità vi dico: se non
vi convertite e non diventate come i fanciulli, non entrerete nel
regno dei cieli. Questa eloquente lezione annienta l'errore e
l'ambizione di coloro che considerano il regno dei cieli come un
impero terrestre ed ambiscono di occuparvi i primi posti:
Chi
sarà più grande nel regno dei cieli? E, per insistere
maggiormente sul fatto che l'infanzia spirituale ha il privilegio
della preminenza nel regno dei cieli, il Signore continua in
questi termini:
Chiunque diventerà umile come questo fanciullo,
sarà il più grande nel regno dei cieli (Matt. 18, 1-4).
Un altro giorno, alcune madri gli conducono i loro figli perchè
li tocchi, e siccome i discepoli li respingono, Gesù si indigna
dicendo: Lasciate venire a me i bambini e non impediteli,
perchè il regno dei cieli appartiene ad essi. Ed anche allora
conclude: In verità vi dico: chi non riceverà il regno dei
cieli come un fanciullo, non vi entrerà (Marco 10, 15).
Infantilismo?
L'infanzia spirituale è dunque una condizione necessaria per
ottenere la vita eterna. Cosa significa? Che bisogna idealizzare
l'infanzia al punto di dimenticarne i difetti e le debolezze? Che
bisogna cadere nell'infantilismo e perdere l'assennatezza dell'età
adulta? No, certo. Al contrario, dobbiamo sfruttare tutte le
facoltà e le attitudini che Dio ci ha dato. Non si tratta di
pensare, parlare, intendere ed agire come un fanciullo. San Paolo
ci avverte: Così, non saremo più fanciulli, non ci lasceremo
più sballottare e trasportare da ogni vento di dottrina... Ma,
vivendo secondo la verità e nella carità, cresceremo sotto ogni
aspetto in Colui che è il Capo, Cristo (Ef. 4, 14-15). Ed
anche: Fratelli, non siate fanciulli nel giudicare, ma fatevi
bambini nella malizia e uomini maturi nel giudicare (1 Cor.
14, 20). Per quanto l'infanzia sia commovente a causa della sua
freschezza, non bisogna dimenticare che la sua incompiutezza rende
necessaria la maturità. L'affettività del fanciullo comporta
insieme una tirannia ed un egoismo bramosi di appropriarsi
l'essere amato più che di darsi ad esso, il che non può esser
proposto ad esempio.
Nostro Signore desidera altro, quando ci chiede di ritornare
fanciulli. La via dell'infanzia, come ha detto Santa Teresa di
Gesù Bambino, consiste essenzialmente «in una disposizione del
cuore, che ci rende umili e piccoli fra le braccia di Dio, consci
della nostra debolezza e fiduciosi fino all'audacia nella bontà
del Padre» (Novissima Verba). Alla luce delle affermazioni della
fede, essa ci fa prendere coscienza della realtà: Dio solo ci
concede di essere, di amare, di agire, soprattutto sul piano
soprannaturale. La vita spirituale non può essere una nostra
iniziativa nei riguardi di Dio: non può essere che un abbandono di
noi stessi nelle mani di Colui che è infinitamente buono, che ci
ama gratuitamente, di un amore originario e creatore: Coloro
che sono guidati dallo Spirito di Dio, sono figli di Dio (Rom.
8, 14).
Tale atteggiamento riconosce un legame di dipendenza totale nei
confronti di Dio, esclude il senso orgoglioso di sè, la
presunzione di raggiungere con mezzi umani un fine soprannaturale,
e la fallace velleità di bastare a se stessi nell'ora del pericolo
e della tentazione. Ci fa praticare «l'umiltà, la dolce e sincera
umiltà del cuore, la fedeltà totale al dovere del proprio stato,
qualsiasi esso sia, in qualunque sfera e qualunque sia il grado
dell'umana gerarchia in cui Dio ci ha collocati e chiamati ad
operare, la disposizione a tutti i sacrifici, l'abbandono
fiducioso nelle mani e nel cuore di Dio, e, soprattutto, la vera
carità, l'amore reale di Dio, la tenerezza sincera per Gesù
Cristo, che contraccambia la tenerezza che ci ha lui stesso
manifestato, quella carità che è benevola, paziente, sempre attiva
e che sopporta tutto, è pronta a tutte le dedizioni ed a tutte le
immolazioni... Perciò l'infanzia spirituale è accessibile e
necessaria a tutti. Come osserva Sant'Agostino, non tutti possono
predicare e compiere grandi opere. Ma chi mai è incapace di
pregare, di umiliarsi e di amare?» (Pio XI, 11 febbraio 1923).
Papa Giovanni Paolo II ci ha dato di recente un nuovo modello
di pratica della via dell'infanzia, beatificando, il 24 novembre
1994, la beata Eugenia Joubert. Visse la sua breve vita in «una
gran fiducia attraverso l'amore, l'amore della semplicità del
fanciullo» (nota di ritiro).
Un modello semplice,
accessibile, simpatico
Eugenia è nata a Yssingeaux, sugli aspri altipiani dell'Alta
Loira, l'11 febbraio 1876, giorno anniversario della prima
apparizione della Santa Vergine a Lourdes. Infanzia, vocazione,
vita religiosa, apostolato, sofferenza e morte, tutto, nella vita
di Eugenia, porterà l'impronta della presenza materna di Maria.
Ancora giovanissima, viene inviata con la sorella maggiore nel
collegio delle Orsoline a Ministrel. Le due bambine sono felici,
lì. Sono benvolute. Il più bel ricordo di quell'epoca, per
Eugenia, è quello della prima comunione e dei mesi di gran fervore
che la precedettero. La fanciulla, vivamente attirata dalla
Vergine Maria, sperimenta l'onnipotenza e la sollecitudine
infinita della Madre celeste: vuol ottenere qualche grazia? Per
nove giorni di seguito, recita il rosario, aggiungendovi cinque
sacrifici fra quelli che le costano maggiormente. Maria la
esaudisce sempre. «Quando parlava della Santa Vergine, racconterà
più tardi un'alunna, mi sembrava di vedere un po' di cielo nel suo
sguardo».
Il fervore non le impedisce di essere allegra. Al contrario!
Una delle maestre dirà della fanciulla che era «molto espansiva,
dal cuore ardente e buono... Aveva influenza sulle compagne e le
trascinava con il suo buonumore». Eugenia scrive alla sorella: «Il
Buon Dio non vieta di ridere e di divertirsi, purchè lo si ami di
tutto cuore e si conservi la propria anima tutta bianca, cioè
senza peccati... Il segreto per rimanere figli del Buon Dio, è
quello di rimanere figli della Santissima Vergine. Bisogna amare
molto la Santissima Vergine e chiederle tutti i giorni di morire,
piuttosto che commettere un solo peccato mortale».
Placare gli stimoli
della sete
Il 6 ottobre 1895, è ammessa quale postulante nel Convento
delle Suore della Sacra Famiglia del Sacro Cuore, a Le
Puy-en-Velay (Francia): «Fin dall'infanzia, scrive allora, il mio
cuore, benchè povero, grossolano e terrestre, cercava invano di
placare gli stimoli della sete. Voleva amare, ma soltanto uno
Sposo bello, perfetto, immortale, il cui amore fosse puro ed
immutabile... Maria, mi hai dato, a me, povera e piccola, il più
bello dei figli degli uomini, il tuo divino Figlio Gesù!» Al
momento dell'addio, la Signora Joubert le dice, abbracciandola:
«Ti do al Buon Dio. Non guardare più al passato, ma diventa una
santa!» Sarà il programma della postulante. Essa intende veramente
«essere tutta di Gesù» e non suora a metà.
Eugenia non ha ancora vent' anni. Ha sempre un'aria vivace ed
un riso gioioso. Ma il viso molto giovane, quasi infantile,
l'aspetto improntato di purezza verginale, riflettono in pari
tempo una serietà molto profonda. Il suo raccoglimento suscita
l'ammirazione ed eccita l'emulazione delle compagne di noviziato.
«Se vivo dello spirito di fede, scrive, se amo veramente Nostro
Signore, mi sarà facile crearmi una solitudine in fondo al cuore e
soprattutto amare tale solitudine, dimorarvi da sola con Gesù
solo».
Il 13 agosto 1896, festa di San Giovanni Berchmans, riceve
l'abito dalle mani di Padre Rabussier, fondatore dell'Istituto.
Essa esprimerà più tardi i sentimenti che l'animavano allora: «Che
ormai il mio cuore, simile ad una palla di cera, semplice come il
fanciullo, si lasci rivestire di ubbidienza, di desiderio assoluto
della divina volontà, senza opporre altra resistenza se non quella
di voler dare sempre di più» .
Per non essere mai
soli
Durante il noviziato, suor Eugenia segue a due riprese gli
Esercizi Spirituali di Sant'Ignazio. Vi apprende a vivere
familiarmente con Gesù, Maria e Giuseppe. Infatti, gli Esercizi
sono una scuola di intimità con Dio ed i Santi. Nel corso delle
meditazioni e delle contemplazioni che propone, Sant'Ignazio
invita il discepolo a situarsi nel centro delle scene evangeliche,
per osservarvi le persone, ascoltare quel che dicono, guardare
quel che fanno, «come se si fosse presenti». Il mistero di Natale,
per esempio (n. 114): «Vedrò (...) Nostra Signora, Giuseppe,
l'ancella ed il Bambino quando sarà nato. Starò al loro cospetto,
li contemplerò, li servirò nelle loro necessità con tutta la
sollecitudine ed il rispetto di cui sono capace, come se fossi
presente». Sant'Ignazio ci incoraggia a praticare questa
familiarità fin nelle nostre più banali attività quotidiane, come
quella di mangiare: «Mentre ci cibiamo, consideriamo, come se lo
vedessimo con i nostri propri occhi, Nostro Signore Gesù Cristo
che mangia con gli Apostoli. Vediamo come mangia, come beve, come
guarda, come parla; e sforziamoci di imitarlo» (n. 214).
Eugenia è sedotta dalla semplicità di questa pratica che
corrisponde perfettamente al suo desiderio di vivere nell'intimità
della Sacra Famiglia. «Amare questa struttura dei luoghi,
scriveva: essere fin dal mattino nel Cuore della Santissima
Vergine». Oppure: «Non sono mai sola, ma sempre con Gesù, Maria,
Giuseppe». Un giorno, formulerà questa bella preghiera a Nostro
Signore: «O Gesù, dimmi quale era la tua propria povertà? Dimmi
che cosa cercavi con maggior sollecitudine a Nazareth?... Fammi la
grazia di abbracciare con tutta l'anima la povertà che il tuo
cuore vorrà mandarmi». Anche noi possiamo parlare spesso con Gesù
nell'intimo del nostro cuore, chiedendogli come abbia praticato
l'umiltà, la bontà, il perdono, la mortificazione e tutte le altre
virtù, poi pregandolo di darci la grazia di imitarlo.
Semplice come un
fanciullo
L'8 settembre 1897, Suor Eugenia pronuncia i voti religiosi;
nel corso della cerimonia, Padre Rabussier fa una predica
sull'infanzia spirituale. La nuova professa ci vede un
incoraggiamento a progredire su questa via. Concentra l'attenzione
su due punti che le sembrano essenziali per giungere alla
«semplicità del fanciullo»: l'umiltà e l'ubbidienza.
Per Suor Eugenia, l'umiltà è il mezzo per attirare «gli sguardi
di Gesù». Un giorno, è severamente rimproverata per un lavoro di
cucito mal eseguito. Ora, il lavoro in questione non è il suo...
Suor Eugenia tace, benchè la natura si ribelli; potrebbe
giustificarsi, spiegare l'equivoco... ma preferisce unirsi al
silenzio di Gesù che fu, anche lui, falsamente accusato. Vede
nell'umiliazione un'occasione di «farsi più grande
nell'avvilimento», il che è, per lei, un vero successo: «La gente
che vive nel mondo, scrive, cerca successi nel desiderio di esser
gradita e di mettersi in mostra. Ebbene! Nostro Signore permette
anche a me di ottenere successi nella vita spirituale. Ogni
umiliazione, per quanto sia piccola, è un vero successo per me
nell'amore di Gesù, purchè la accetti di tutto cuore».
Essere umili consiste pure nel non scoraggiarsi di fronte alle
proprie debolezze, le cadute o i difetti, ma nell'offrire tutto
ciò alla divina misericordia, soprattutto nel sacramento della
Penitenza, mezzo ordinario per ricevere il perdono di Dio. «O
beata miseria, più l'amo, e più anche Nostro Signore l'ama e si
china su di essa per averne pietà ed usarle misericordia!» esclama
Suor Eugenia constatando le proprie incapacità.
La madre delle
virtù
L'umiltà va di pari passo con l'ubbidienza. San Paolo ci dice
di Gesù che si umiliò, facendosi ubbidiente fino alla morte
(Fil. 2, 8). Suor Eugenia vede nell'ubbidienza «il frutto
dell'umiltà e la sua più vera forma», e scrive: «Voglio ubbidire
per umiliarmi ed umiliarmi per amare di più». Ubbidire a Dio, ai
comandamenti, alla Chiesa, a coloro che ne fanno le veci, vuol
dire amare Dio in verità. Se mi amate, diceva Gesù ai suoi
discepoli, osservate i miei comandamenti. Chi accoglie i miei
comandamenti e li osserva, ecco chi mi ama, e chi ama me sarà
amato dal Padre mio ed io pure l'amerò e gli manifesterò me
stesso (Giov. 14, 15 e 21). «L'ubbidienza non è tanto una
virtù, quanto la madre delle virtù», ha potuto scrivere
Sant'Agostino. San Gregorio Magno usa questa bella espressione: «È
l'ubbidienza, ed essa sola, che produce e conserva le altre virtù
nei nostri cuori» (Morales, 35, 28). E, come ci insegna San
Benedetto: «L'ubbidienza che tributiamo ai superiori, la
tributiamo a Dio» (Regola, cap. 5).
Tuttavia, l'esercizio di ogni virtù deve esser guidato dalla
prudenza. Questa permette di discernere, in particolare, i limiti
dell'ubbidienza. Così, quando un ordine, una prescrizione o una
legge umana si oppongono manifestamente alla legge di Dio, il
dovere dell'ubbidienza non esiste: «L'autorità, richiesta
dall'ordine morale, viene da Dio. Se dunque accade che i
governanti emanino leggi o prendano misure contrarie all'ordine
morale, e di conseguenza alla volontà divina, tali disposizioni
non costituiscono un obbligo per le coscienze» (Giovanni XXIII,
Pacem in Terris, 11 aprile 1963). «La prima e più immediata
delle applicazioni di questa dottrina riguarda la legge umana che
riconosce il diritto fondamentale ed originale alla vita, diritto
proprio a tutti gli uomini. Così, le leggi che, nel caso
dell'aborto e dell'eutanasia, legittimano la soppressione diretta
di esseri umani innocenti, sono in contraddizione totale ed
insormontabile con il diritto inviolabile alla vita proprio a
tutti gli uomini, e negano di conseguenza l'uguaglianza di tutti
davanti alla legge» (Giovanni Paolo II, Evangelium
vitae, 72). Di fronte a tali prescrizioni umane,
ricordiamoci le parole di San Pietro: Bisogna ubbidire
piuttosto a Dio che agli uomini (Atti 5, 29).
All'infuori degli ordini che sarebbero impossibili da seguire
senza peccare, l'ubbidienza è dovuta alle autorità legittime. Suor
Eugenia, per seguire Gesù più da vicino e per adoperarsi per la
salvezza delle anime, si predispone ad ubbidire con la massima
perfezione, al fine di compiere ad ogni istante la volontà di Dio
Padre, seguendo le orme di Nostro Signore che ha detto: Il
Figlio non può far nulla da sè, se non ciò che ha veduto fare dal
Padre; quel che fa Lui, lo fa allo stesso modo anche il Figlio
(Giov. 5, 19). Niente faccio da me, ma parlo come mi ha
insegnato il Padre (Giov. 8, 28).
Al servizio dei
piccoli
Appena pronunciati i voti, la giovane suora viene mandata ad
Aubervilliers, nei sobborghi parigini, in una casa dedita
all'evangelizzazione degli operai. Essa conquista il cuore dei
bambini, e riesce così a far stare tranquilli i birichini, che non
mancano fra il suo pubblico! Il suo segreto? la pazienza, la
dolcezza, la bontà. Ottiene risultati insperati.
Apostolo, Suor Eugenia suscita apostoli. Un bambino,
conquistato dalle lezioni di catechismo, sogna di attirare i
compagni. Riunendo quelli che trova per la strada, li fa entrare
nella sua stanza, davanti ad un crocifisso: «Chi ha messo in croce
Gesù?» chiede. E quando la risposta si fa aspettare troppo a
lungo, aggiunge commosso: «Siamo noi che, con i nostri peccati,
l'abbiamo fatto morire. Bisogna chiedergli perdono». Tutti,
allora, cadono in ginocchio, e recitano dal più profondo del cuore
atti di contrizione, di riconoscenza e d'amore.
Suor Eugenia comunica ai fanciulli il proprio amore per Maria.
Arde per Nostra Signora di un amore che la fa esclamare un giorno:
«Amare Maria, amarla ancora e sempre di più! L'amo perchè l'amo,
perchè è mia Madre. Mi ha dato tutto; mi dà tutto; ed è Lei che mi
vuol dare tutto. L'amo perchè è tutta bella, tutta pura; l'amo e
voglio che ciascuno dei battiti del mio cuore le dica: Madre mia
Immacolata, tu lo sai che ti amo!»
Quando verrà?
Quando?
Durante l'estate del 1902, Suor Eugenia avverte i primi effetti
della tubercolosi che la stroncherà. Comincia allora per lei un
doloroso calvario che durerà due anni, e finirà di santificarla
unendola di più a Gesù crocifisso. Trova un gran conforto nella
meditazione della Passione. «Soffrite molto? le chiede un giorno
l'infermiera. – È spaventoso, risponde l'ammalata, ma Lo amo
tanto... il Sacro Cuore... quando verrà... Quando?» Nella
preghiera, Gesù le fa capire che per rimanere fedele in mezzo alle
sofferenze, deve «abbracciare la pratica dell'infanzia
spirituale», «essere bambina con lui nella sofferenza, la
preghiera, la lotta, l'ubbidienza». L'abbandono e la fiducia la
guidano fino alla fine! Dopo un'emorragia particolarmente
violenta, ricade spossata, sentendo che la vita le sfugge, e,
senza che il sorriso sparisca dal suo viso, rivolge lo sguardo ad
un'immagine del Bambino Gesù.
È con una grande pace che, il 27 giugno 1904, Suor Eugenia
accoglie l'annuncio della sua partenza per il cielo. Le vengono
amministrati il Sacramento degli infermi e la Santa Comunione. Il
2 luglio, le crisi di soffocamento diventano sempre più penose;
una suora ha l'idea di accendere una piccola lampada ai piedi
della statua del Cuore Immacolato di Maria, nella cappella, e la
Buona Madre concede alla moribonda un po' di sollievo. L'ora della
liberazione è vicina. Le si presenta un'immagine di Gesù Bambino.
A tale vista, Suor Eugenia esclama: «Gesù!... Gesù!... Gesù!...» e
la sua anima prende il volo verso il cielo. Il corpo di quella
bambina evangelica sembra avere dodici anni. Un bel sorriso le
illumina il viso.
«Pregherò per tutte in cielo!» aveva promesso alle Suore.
Chiediamole di guidarci sulla strada dell'infanzia spirituale fino
al Paradiso, «il Regno dei Piccoli»; è lì che ci aspetta con la
moltitudine dei Santi. La preghiamo, unitamente a San Giuseppe,
per Lei ed i Suoi, vivi e defunti.