NOSTRA
SIGNORA DI GUADALUPE
La
storia della Madonna di Guadalupe
L'apparizione,
il 9 dicembre 1531, della "Morenita" all'indio
Juan Diego, a Guadalupe, in Messico, è un evento
che ha lasciato un solco profondo nella religiosità
e nella cultura messicana. L'evento guadalupano fu un caso
di “inculturazione” miracolosa: meditare su questo evento
significa oggi porsi alla scuola di Maria, maestra di umanità
e di fede, annunciatrice e serva della Parola, che deve
risplendere in tutto il suo fulgore, come l'immagine misteriosa
sulla tilma del veggente messicano, che la Chiesa ha di
recente proclamato santo.
Con gli oltre venti milioni di pellegrini che lo visitano
ogni anno, il santuario di Nostra Signora di Guadalupe,
in Messico, è il più frequentato e amato di
tutto il Centro e Sud America. Sono pellegrini di ogni razza
e d'ogni condizione - uomini, donne, bambini, giovani e
anziani - che vi giungono dalle zone limitrofe alla capitale
o dai centri più lontani, a piedi o in bicicletta,
dopo ore o, più spesso, giorni di cammino e di preghiera.
L’apparizione, nel XVI° secolo, della “Virgen Morena”
all’indio Juan Diego e’ un evento che ha lasciato un solco
profondo nella religiosità e nella cultura messicana.
La basilica ove attualmente si conserva l'immagine miracolosa
e’ stata inaugurata nel 1976. Tre anni dopo e’ stata visitata
dal papa Giovanni Paolo II, che dal balcone della facciata
su cui sono scritte in caratteri d'oro le parole della Madonna
a Juan Diego: “No estoy yo aqui que soy tu Madre?”, ha salutato
le molte migliaia di messicani confluiti al Tepeyac; nello
stesso luogo, nel 1990, ha
proclamato beato il veggente Juan Diego, che è stato
infine dichiarato santo nel 2002.
Che cosa era accaduto in
quel lontano secolo XVI° in Messico? Con
lo sbarco degli spagnoli nelle terre del continente latino-americano
aveva avuto inizio la lunga agonia di un popolo che aveva
raggiunto un altissimo grado di progresso sociale e religioso.
Il 13 agosto 1521 aveva segnato il tramonto di questa civiltà,
quando Tenochtitlan, la superba capitale del mondo atzeco,
fu saccheggiata e distrutta.
L'immane
tragedia che ha accompagnato la conquista del Messico da
parte degli spagnoli, sancisce per un verso la completa
caduta del regno degli aztechi e per l’altro l’affacciarsi
di una nuova cultura e civiltà originata dalla mescolanza
tra vincitori e vinti. E’ in questo contesto che, dieci
anni dopo, va collocata l’apparizione della Madonna a un
povero indio di nome Juan Diego, nei pressi di Città
del Messico. La mattina del 9 dicembre 1531, mentre sta
attraversando la collina del Tepeyac per raggiungere la
città, l’indio e’ attratto da un canto armonioso
di uccelli e dalla visione dolcissima di una Donna che lo
chiama per nome con tenerezza. La Signora gli dice di essere
"la Perfetta Sempre Vergine
Maria, la Madre del verissimo ed unico Dio"
e gli ordina di recarsi dal vescovo a riferirgli che desidera
le si eriga un tempio ai piedi del colle. Juan Diego corre
subito dal vescovo, ma non viene creduto.
Tornando a casa la sera, incontra nuovamente sul Tepeyac
la Vergine Maria, a cui riferisce il suo insuccesso e chiede
di essere esonerato dal compito affidatogli, dichiarandosene
indegno. La Vergine gli ordina di tornare il giorno seguente
dal vescovo, che, dopo avergli rivolto molte domande sul
luogo e sulle circostanze dell’apparizione, gli chiede un
segno. La Vergine promette di darglielo l'indomani. Ma il
giorno seguente Juan Diego non può tornare: un suo
zio, Juan Bernardino, è gravemente ammalato e lui
viene inviato di buon mattino a Tlatelolco a cercare un
sacerdote che confessi il moribondo; giunto in vista del
Tepeyac decide perciò di cambiare strada per evitare
l’incontro con la Signora. Ma la Signora è là,
davanti a lui, e gli domanda il perchè di tanta fretta.
Juan Diego si prostra ai suoi piedi e le chiede perdono
per non poter compiere l’incarico affidatogli presso il
vescovo, a causa della malattia mortale dello zio. La Signora
lo rassicura, suo zio è già guarito, e lo
invita a salire sulla sommità del colle per cogliervi
i fiori. Juan Diego sale e con grande meraviglia trova sulla
cima del colle dei bellissimi "fiori di Castiglia":
è il 12 dicembre, il solstizio d’inverno secondo
il calendario giuliano allora vigente, e né la stagione
né il luogo, una desolata pietraia, sono adatti alla
crescita di fiori del genere. Juan Diego ne raccoglie un
mazzo che porta alla Vergine, la quale però gli ordina
di presentarli al vescovo come prova della verità
delle apparizioni. Juan Diego ubbidisce e giunto al cospetto
del presule, apre il suo mantello e all’istante sulla tilma
si imprime e rende manifesta alla vista di tutti l'immagine
della S. Vergine. Di fronte a tale prodigio, il vescovo
cade in ginocchio, e con lui tutti i presenti. La mattina
dopo Juan Diego accompagna il presule al Tepeyac per indicargli
il luogo in cui la Madonna ha chiesto le sia innalzato un
tempio. Nel frattempo l'immagine, collocata nella cattedrale,
diventa presto oggetto di una devozione popolare che si
è conservata ininterrotta fino ai nostri giorni.
La Dolce Signora che si manifestò sul Tepeyac non
vi apparve come una straniera. Ella infatti si presenta
come una meticcia o morenita, indossa una tunica con dei
fiocchi neri all’altezza del ventre, che nella cultura india
denotavano le donne incinte. E’ una Madonna dal volto nobile,
di colore bruno, mani giunte, vestito roseo, bordato di
fiori. Un manto azzurro mare, trapuntato di stelle dorate,
copre il suo capo e le scende fino ai piedi, che poggiano
sulla luna. Alle sue spalle il sole risplende sul fondo
con i suoi cento raggi. L'attenzione si concentra tutta
sulla straordinaria e bellissima icona guadalupana, rimasta
inspiegabilmente intatta nonostante il trascorrere dei secoli:
questa immagine, che non è una pittura, né
un disegno, né è fatta da mani umane, suscita
la devozione dei fedeli di ogni parte del mondo e pone non
pochi interrogativi alla scienza, un po’ come succede ormai
da anni col mistero della Sacra Sindone.
La scoperta più sconvolgente al riguardo è
quella fatta, con l'ausilio di sofisticate apparecchiature
elettroniche, da una commissione di scienziati, che ha evidenziato
la presenza di un gruppo di 13 persone riflesse nelle pupille
della S. Vergine: sarebbero lo stesso Juan Diego, con il
vescovo e altri ignoti personaggi, presenti quel giorno
al prodigioso evento in casa del presule. Un vero rompicapo
per gli studiosi, un fenomeno scientificamente inspiegabile,
che rivela l'origine miracolosa dell'immagine e comunica
al mondo intero un grande messaggio di speranza. Nostra
Signora di Guadalupe, che appare a Juan Diego in piedi,
vestita di sole, non solo gli annuncia che è nostra
madre spirituale, ma lo invita – come invita ciascuno di
noi - ad aprire il proprio cuore all'opera di Cristo che
ci ama e ci salva. Meditare oggi sull'evento guadalupano,
un caso di “inculturazione” miracolosa, significa porsi
alla scuola di Maria, maestra di umanità e di fede,
annunciatrice e serva della Parola, che deve risplendere
in tutto il suo fulgore, come l'immagine misteriosa sulla
tilma del veggente messicano, che la Chiesa ha recentemente
proclamato santo.
Autore:
Maria Di Lorenzo
Il
primo apostolo del Nuovo Mondo
tratto
da Santi e Beati.it
La
Vergine sceglie come suo interlocutore un "povero indio",
Juan Diego, nato verso il 1474 e morto nel 1548 a Guadalupe,
che prima di convertirsi al cattolicesimo portava un affascinante
nome azteco, Cuauhtlotatzin, che sta a significare
"colui che grida come un’aquila".
Varie
fonti ci tramandano i dati biografici del veggente del Tepeyac:
egli è un macehual, cioè un uomo
del popolo, piccolo coltivatore diretto in un modesto villaggio:
poco più di niente, nella società azteca complessa
e fortemente gerarchizzata. Cuauhtlotatzin fu tra
i primi a ricevere il Battesimo, nel 1524, all’età
di cinquant’anni, quando gli viene imposto il nuovo nome
cristiano di Juan Diego; e con lui viene battezzata anche
la moglie Malintzin, che prende a sua volta il nome di Maria
Lucia.
Il
neoconvertito si distingueva in mezzo agli altri per la
sollecitudine nel frequentare la catechesi e i sacramenti,
senza badare ai sacrifici che questo richiedeva: si poneva
in cammino fin dalle prime ore del giorno per raggiungere
Santiago di Tlatelolco, dove i Frati francescani radunavano
gli indigeni per catechizzarli. Rimasto vedovo dopo solo
quattro anni, Juan Diego orienta la sua vita ancora più
decisamente verso Dio: trascorre tutto il suo tempo fra
il lavoro dei campi e le pratiche della religione cristiana,
fra cui l'ascolto della catechesi impartita agli indigeni
neoconvertiti dai Missionari spagnoli. Conduce una vita
esemplare che edifica molti.
L'esperienza
eccezionale vissuta dall’indio sul Tepeyac s'inserisce in
un’esistenza già trasformata dalla grazia del Battesimo
e cementata dall’incontro con la Madre di Dio che ne potenzia
in modo straordinario il cammino di fede, fino a spingerlo
ad abbandonare tutto, casa e terra, per trasferirsi in una
casetta che il Vescovo Zumàrraga gli ha fatto costruire
a fianco della Cappella eretta in onore della Vergine di
Guadalupe. Qui Juan Diego vive per ben 17 anni in penitenza
e orazione, assoggettandosi agli umili lavori di sagrestano,
senza mai mancare al suo impegno di testimoniare quanto
Maria ha fatto per lui e può fare per tutti quelli
che con affetto filiale vorranno rivolgersi al suo cuore
di Madre.
La
morte lo coglie nel 1548, quando ha ormai 74 anni. La sua
fama di santità, che già l’aveva accompagnato
in vita, cresce nel tempo fino ai nostri giorni, finché
nel 1984 si dette finalmente inizio alla sua Causa di beatificazione
e si pose mano all'elaborazione della Positio, orientata
a comprovarne non solo il culto, da tempo immemorabile,
ma anche a dimostrare le virtù del Servo di Dio e
a illustrarne la vita, indipendentemente dall'evento guadalupano.
Attraverso
una solida base documentale si voleva cioè dimostrare
che Juan Diego, per i suoi soli meriti di Cristiano, era
degno di assurgere agli onori degli altari. Così,
al termine di un complesso iter ecclesiastico, con il decreto
Exaltavit humiles del 6 maggio 1990, se ne è finalmente
concessa la memoria liturgica, fissata al 9 dicembre, data
della prima apparizione della "Virgen Morena"
a Guadalupe.
La
Madonna di Guadalupe:
un caso di "inculturazione" miracolosa
di
Giulio Guerra
La
devozione e la sua diffusione
Il
culto della Madonna di Guadalupe si diffonde rapidamente
in tutto il Messico, ma incontra anche alcune opposizioni,
particolarmente in quei religiosi che temono una sopravvivenza,
sotto una maschera di devozione cristiana, dei culti idolatrici
da poco abbandonati dagli indios. Infatti la collina del
Tepeyac era stata, in epoca precolombiana, sede di un tempio
di Tonantzín, una dea azteca il cui nome significa
"nostra venerata madre", tempio distrutto durante
la conquista.
Dopo le apparizioni della Madonna di Guadalupe e l'edificazione
dell'ermita, il luogo è definitivamente consacrato
al culto cristiano della Vergine Maria; ma gli indios "[...]
oggi che lì è stata edificata la chiesa
di Nostra Signora di Guadalupe la chiamano ancora Tonantzín,
prendendo spunto dai Predicatori che chiamano col nome di
Tonantzín Nostra Signora, la Madre di Dio. Quale
sia l'origine di questo attributo non si sa con certezza.
Ma con certezza sappiamo che il vocabolo deriva dal primitivo
culto della Tonantzín antica. Ed è cosa cui
si doveva rimediare, perché il nome proprio della
Madre di Dio, Signora Nostra, non è Tonantzín,
ma Dios y nantzin". Così lo storico padre
Bernardino de Sahagún O.F.M., che - tacendo sull'apparizione
per non negare un fatto la cui origine soprannaturale è
stata riconosciuta dalla locale autorità ecclesiastica
- nella seconda metà del secolo XVI critica il nome
con cui gli indios venerano la Vergine del Tepeyac, nome
che al contrario i domenicani giudicano, dato il significato,
perfettamente compatibile con la fede cristiana; decisamente
"anti-apparizionista" è, invece, il padre
provinciale dei francescani, Francisco Bustamante, che l'8
settembre 1556 nega in una sua predica l'apparizione e l'origine
miracolosa dell'immagine, affermando che si tratta di un
dipinto di un pittore indio, un certo Marcos Cipac.
Sono
voci isolate, che non ostacolano minimamente il diffondersi
della devozione alla Madonna di Guadalupe, peraltro incoraggiata
dalla Chiesa messicana. Così, nel 1557, il nuovo
arcivescovo, padre Alonso de Montúfar O.P., fa costruire
un'ermita più grande di quella eretta ventisei anni
prima dal suo predecessore, e il 10 settembre 1600 vi è
la posa della prima pietra del primo vero santuario, la
"iglesia de los indios", che viene consacrato
nel novembre del 1622; il 25 settembre 1629, quando uno
straripamento del lago sommerge totalmente Città
di Messico e i suoi sobborghi, l'immagine viene trasportata
solennemente in canoa dal santuario alla cattedrale, per
implorare dalla Vergine la fine dell'alluvione.
Fra
le testimonianze del rapido diffondersi della devozione
alla Madonna di Guadalupe anche fuori del Messico e dell'America
Latina, è particolarmente significativa la presenza
di una copia dell'immagine del Tepeyac nella cabina dell'ammiraglio
Gian Andrea Doria - che l'aveva avuta in dono da re Filippo
II - alla battaglia di Lepanto, nel 1571. Tale copia - una
delle più antiche ancora esistenti - si trova oggi
nella chiesa parrocchiale di Santo Stefano d'Aveto, in provincia
di Genova.
Tuttavia
la devozione alla Madonna di Guadalupe rimane sempre un
culto locale, privo di quella "ufficialità"
che può venirgli solo dalla Santa Sede. Così
fra il 1662 e il 1666, allo scopo di ottenere l'istituzione,
per il giorno 12 dicembre, della festività della
Madonna di Guadalupe con Ufficio e Messa propri, per la
prima volta vengono raccolte ufficialmente testimonianze
sull'apparizione e viene fatta esaminare l'immagine da medici
e da pittori. I testimoni interrogati sono: otto anziani
abitanti di Cuauhtitlán, il paese natale di Juan
Diego, un meticcio e sette indios, uomini e donne, alcuni
dei quali ultracentenari; dieci fra sacerdoti e religiosi
di vari ordini; due nobili messicani, uno dei quali, il
cavaliere di Santiago don Diego Caño Moteuczuma,
nipote di Moctecuzoma Xocoyotzin, l'imperatore azteco -
più noto in Italia come Montezuma II - che aveva
accolto Hernán Cortés a Tenochtitlán.
A queste testimonianze verbali si aggiunge un documento
scritto da don Luis Becerra Tanco, studioso delle lingue
e delle culture indigene del Messico. Tutte le testimonianze,
in particolare quelle dei vecchi di Cuauhtitlán -
i quali, fra l'altro, essendo analfabeti, non possono essere
stati influenzati dai libri già stampati nel 1666
- concordano sostanzialmente con il Nican mopohua di Antonio
Valeriano. In seguito a ciò, nel 1667 Papa Clemente
IX emana una bolla in cui dichiara il 12 dicembre festa
della Madonna di Guadalupe.
Gli
esami scientifici della "tilma"
Al
1666 risale anche il più antico esame scientifico
dell'immagine "impressa" sulla tilma. Essa è
costituita da due teli di ayate - un rozzo tessuto di fibre
d'agave, usato in Messico dagli indios poveri per fabbricare
abiti - cuciti insieme con filo sottile. Su di essa si vede
l'immagine della Vergine, di dimensioni leggermente inferiori
al naturale - la statura è di 143 centimetri - e
di carnagione un po' scura, donde l'appellativo popolare
messicano di Virgen Morena o Morenita, circondata dai raggi
del sole e con la luna sotto i suoi piedi, secondo la figura
della Donna dell'Apocalisse. I tratti del volto non sono
né di tipo europeo né di tipo indio, ma piuttosto
meticcio - cosa "profetica" al tempo dell'apparizione
- così che oggi, dopo secoli di commistioni fra le
due razze, la Vergine di Guadalupe appare tipicamente "messicana".
Sotto la falce argentata della luna un angelo, le cui ali
sono ornate di lunghe penne rosse, bianche e verdi, sorregge
la Vergine che, sotto un manto verde-azzurro coperto di
stelle dorate, indossa una tunica rosa "ricamata"
di fiori in boccio dai contorni dorati, e stretta sopra
la vita da una cintura color viola scuro: questa cintura
- il "segno di riconoscimento", presso gli aztechi,
delle donne incinte - indica che la Vergine è in
procinto di donare agli uomini il Salvatore.
I
risultati degli esami compiuti su questa immagine dai pittori
e dagli scienziati nel 1666 sono i seguenti: è assolutamente
impossibile che un'immagine così nitida sia stata
dipinta a olio o a tempera sull'ayate, data la completa
mancanza di preparazione di fondo; che il clima del luogo
in cui l'immagine è stata esposta, senza alcuna protezione,
per centotrentacinque anni è tale da distruggere
in un tempo più breve qualsiasi pittura, anche se
dipinta su tela di buona qualità e ben preparata,
a differenza del rozzo ayate della tilma di Juan Diego.
Gli
studi scientifici sull'immagine e sull'ayate proseguono
nei secoli successivi, fino ai giorni nostri. Nel 1751 una
commissione di sette pittori con a capo Miguel Cabrera è
incaricata di compiere una nuova ispezione sull'ayate, e
i risultati di essa vengono pubblicati cinque anni dopo
dallo stesso Miguel Cabrera con il titolo Maravilla americana.
Nel 1752 sempre Miguel Cabrera, con l'aiuto di due dei sei
pittori che hanno esaminato con lui l'immagine l'anno precedente,
esegue tre copie - una per l'arcivescovo di Città
di Messico, una per Papa Benedetto XIV e la terza per sé,
come "modello" per le altre copie che da ogni
parte gli vengono richieste - ma al contempo riconosce l'impossibilità
pratica di riprodurre fedelmente l'espressione e i tratti
dell'originale, cosa già notata precedentemente su
copie più antiche. Le conclusioni a cui giungono
Miguel Cabrera e i suoi colleghi sono sostanzialmente le
stesse a cui erano giunti i medici e i pittori nel 1666:
l'immagine non è un dipinto, apparendo i colori come
"incorporati" alla trama della tela; e non soltanto
una pittura, ma lo stesso tessuto dell'ayate avrebbe dovuto
disgregarsi in breve tempo nelle condizioni climatiche della
radura ai piedi del Tepeyac.
Dell'impossibilità
a resistere in simili condizioni da parte di una pittura
eseguita senza preparazione del fondo testimonia l'esperimento
condotto poco più di trent'anni dopo dal medico José
Ignacio Bartolache. Fra il 1785 e il 1787 egli mette all'opera
una squadra di filatori e di tessitori indigeni per far
tessere degli ayates il più possibile simili a quello
di Juan Diego, utilizzando due diversi tipi di fibra vegetale
- solo nel 1976 si potrà accertare che il tessuto
della tilma è ricavato da fibre di agave popotule
-, ma senza riuscire a far riprodurre esattamente la consistenza
dell'originale. Alla fine, stanco dei tentativi, sceglie
gli ayates che gli sembrano, all'occhio e al tatto, meno
peggiori e incarica cinque pittori di eseguire copie della
Madonna di Guadalupe sulla tela non preparata, adoperando
i colori e le tecniche di pittura in uso duecentocinquant'anni
prima. Una di queste copie - dipinta nel 1788 da Rafael
Gutiérrez - viene collocata il 12 settembre dell'anno
successivo sull'altare della Capilla del Pocito, da poco
eretta accanto al santuario, che era stato completamente
ricostruito, nella forma in cui lo si ammira ancor oggi,
fra il 1695 e il 1709. Ma non vi resta a lungo: nonostante
sia protetta da due robusti cristalli, la copia di Rafael
Gutiérrez deve essere tolta dall'altare nel 1796
- sei anni dopo la morte di José Ignacio Bartolache
- e riposta in un angolo della sacrestia, perché
completamente rovinata. Frattanto, nel 1791, un incidente
ha messo in luce un'altra singolare caratteristica dell'ayate.
Alcuni operai, incaricati di pulire con una soluzione acquosa
di acido nitrico al 50% la cornice d'oro che dal 1777 racchiude
l'immagine, lasciano cadere inavvertitamente sulla tela
parte della soluzione "detergente". Stando alle
leggi della chimica, dovrebbe essere un danno irreparabile:
infatti, l'acido nitrico reagisce non solo con le proteine
presenti nei tessuti d'origine animale o vegetale dando
loro un caratteristico colore giallo - la cosiddetta "reazione
xantoproteica" - ma, soprattutto, con la cellulosa
che costituisce la struttura portante delle fibre vegetali,
disgregandole. Invece, nel caso dell'ayate della Madonna
di Guadalupe, il tessuto è rimasto inspiegabilmente
integro, e le due macchie giallastre della reazione xantoproteica
- che non hanno, comunque, toccato la figura della Vergine
- vanno sbiadendo con il passar del tempo. A questo si aggiunga
un altro fatto, a tutt'oggi inspiegabile, notato anch'esso
per la prima volta nella seconda metà del secolo
XVIII e più volte confermato anche ai nostri giorni:
l'ayate "respinge" gli insetti e la polvere, che
invece si accumulano abbondantemente sul vetro e sulla cornice.
Ma
i risultati più sorprendenti verranno dagli studi
sull'immagine della Madonna di Guadalupe compiuti nel nostro
secolo. Nel 1936, il direttore della sezione di chimica
del Kaiser Wilhelm Institut di Heidelberg, dottor Richard
Kuhn - premio Nobel per la Chimica nel 1938 -, ha la possibilità
di analizzare due fili, uno rosso e uno giallo, provenienti
da frammenti della tilma di Juan Diego, forse ritagliati
nel 1777 per adattare alla cornice l'antico mantello, e
poi conservati come reliquie. I risultati delle analisi,
condotte con le tecniche più sofisticate allora disponibili,
sono incredibili: sulle fibre non vi è traccia di
coloranti, né vegetali, né animali, né
minerali.
La
tecnica più usata oggi per determinare la natura
dei pigmenti è quella della fotografia ai raggi infrarossi,
che vengono riflessi o assorbiti in maniera diversa dalle
varie sostanze contenute nei pigmenti stessi. Una prima
fotografia a raggi infrarossi dell'immagine della Madonna
di Guadalupe è eseguita nel 1946 dal fotolitografo
Jesús Castaño, ma finisce in archivio a causa
della morte dell'autore. Finalmente, nel 1979, lo scienziato
e pittore americano Philip Serna Callahan esegue una quarantina
di fotografie all'infrarosso dell'immagine, sulle quali
può compiere uno studio accurato. Tale studio, anche
se viziato da qualche difetto nelle tecniche fotografiche,
è il più accurato fra quelli compiuti sui
colori che formano l'immagine e conferma nella sostanza
gli studi precedenti: la quasi totalità della figura
fa tutt'un corpo con il tessuto dell'ayate, con l'eccezione
di alcune parti, come le mani, che appaiono ridipinte per
ridurre la lunghezza delle dita, l'intera parte inferiore
compresa la figura dell'angelo, l'argento della luna, l'oro
dei raggi solari e delle stelle, e il bianco delle nubi
che circondano i raggi stessi. A proposito di questi e di
altri particolari, che Philip Serna Callahan definisce un
po' troppo sbrigativamente "aggiunte", occorre
fare alcune precisazioni. Dell'applicazione di una patina
bianca sulle nubi - allo scopo di cancellare dei cherubini
che, dipinti per eccesso di devozione intorno alla figura
della Vergine, si erano deteriorati quasi sùbito
- parla già nel 1668 padre Francisco Florencia S.J.
nel suo libro Estrella del Norte de México . Così
pure l'aggiunta d'oro ai raggi del sole e d'argento alla
luna era già stata notata - e biasimata - dagli studiosi
che avevano compiuto il primo esame scientifico nel 1666.
Quanto alla cancellazione della corona che originariamente
ornava il capo della Vergine, si tratta di un intervento
assai recente, del 1895, eseguito dal pittore Salomé
Pina per "far posto" alla corona d'oro massiccio
che in quell'anno viene, con una cerimonia ufficiale, applicata
all'immagine . Per quanto riguarda il resto dell'immagine,
sembra difficile che possa avere subìto "aggiunte"
nel senso inteso da Philip Serna Callahan: sia la più
antica descrizione dell'immagine, In tilmatzintli, scritta
con ogni probabilità da Antonio Valeriano nella seconda
metà del secolo XVI e pubblicata da Luis Lasso de
la Vega nel 1649 insieme con il Nican mopohua , sia la già
menzionata copia presente alla battaglia di Lepanto - e
quindi anteriore al 1571 - mostrano l'immagine come ci appare
oggi, a parte ovviamente la corona cancellata nel 1895.
È quindi più probabile che gli interventi
di mano umana individuati da Philip Serna Callahan siano
solo semplici ritocchi; e don Faustino Cervantes Ibarrola,
nelle sue note al libro di Philip Serna Callahan, ritiene
che siano stati apportati dal pittore indio Marcos Cipac
- quello accusato da padre Francisco Bustamante O.F.M. di
essere l'autore del "falso" dell'immagine di Nostra
Signora di Guadalupe - al tempo della costruzione della
seconda ermita da parte dell'arcivescovo padre Alonso de
Montúfar O.P., probabilmente per riparare i danni
arrecati alla tilma dall'esposizione per più di vent'anni
in condizioni che avrebbero dovuto distruggere completamente
qualunque ayate. In ogni caso, è significativo che
anche le fotografie all'infrarosso abbiano dimostrato la
natura "non manufatta" -acheropita, per dirla
con il termine tecnico d'origine greca - della parte essenziale
dell'immagine.
Ma
i risultati più incredibili sono venuti dall'esame
degli occhi della Vergine di Guadalupe. È noto che
nell'occhio umano si formano tre immagini riflesse degli
oggetti osservati - una sulla superficie esterna della cornea,
la seconda sulla superficie esterna del cristallino e la
terza, ovviamente rovesciata, sulla superficie interna del
cristallino stesso - dette "immagini di Purkinje-Sanson"
dai nomi dei due ricercatori che le scoprirono nel secolo
XIX. Se tali immagini riflesse, oltre che negli occhi di
una persona vivente, possono forse essere viste anche in
una fotografia ad alta risoluzione del suo viso, non potranno
certo mai vedersi negli occhi di un volto umano dipinto
su una tela. Eppure, nel 1929, il fotografo Alfonso Marcué
González, esaminando alcuni negativi dell'immagine
della Madonna di Guadalupe, scorge nell'occhio destro qualcosa
di simile al riflesso di un mezzo busto umano. La scoperta
- tenuta segreta in attesa di esami più approfonditi
- è confermata il 29 maggio 1951 dal fotografo ufficiale
del santuario, José Carlos Salinas Chávez,
che rilascia pubblica dichiarazione scritta di aver vista
"[...] riflessa nella pupilla del lato destro della
Vergine di Guadalupe la Testa di Juan Diego, accertandone
subito la presenza anche sul lato sinistro" .
La
presenza negli occhi della Vergine di questa presunta "testa
di Juan Diego" viene confermata negli anni successivi
dalle osservazioni di illustri oftalmologi, compiute anche
direttamente sulla tilma priva del vetro protettivo, i quali
riescono pure a individuare, nel solo occhio destro, la
seconda e la terza immagine di Purkinje-Sanson. È
una scoperta che rende ancora più "inspiegabile"
l'immagine del Tepeyac, ma non è ancora tutto. Infatti,
quando nel 1979 l'ingegnere peruviano José Aste Tonsmann,
esperto di elaborazione elettronica delle immagini, viene
a conoscenza della scoperta fatta da José Carlos
Salinas Chávez ventotto anni prima, chiede di poter
analizzare - con il metodo dell'elaborazione elettronica
mediante computer, usato, fra l'altro, per la "decifrazione"
delle immagini inviate sulla terra dai satelliti artificiali
e dalle sonde spaziali - i riflessi visibili negli occhi
della Madonna di Guadalupe. Con questo metodo - basato sulla
scomposizione di una figura in "punti" luminosi
e sulla "traduzione" della luminosità di
ciascun punto nel "codice binario" del calcolatore
- José Aste Tonsmann riesce a ingrandire le iridi
degli occhi della Vergine fino a 2500 volte le loro dimensioni
originarie, e a rendere, mediante opportuni procedimenti
matematici e ottici, il più possibile nitide le immagini
in esse contenute. Il risultato ha, ancora una volta, dell'incredibile:
negli occhi della Madonna di Guadalupe è riflessa
l'intera scena di Juan Diego che apre la sua tilma davanti
al vescovo Juan de Zumárraga O.F.M. e agli altri
testimoni del miracolo. In questa scena è possibile
individuare, da sinistra verso destra guardando l'occhio:
un indio seduto, che guarda in alto; il profilo di un uomo
anziano, con la barba bianca e la testa segnata da un'avanzata
calvizie e da qualcosa di simile alla chierica dei frati,
molto somigliante alla figura del vescovo Juan de Zumárraga
O.F.M. quale appare nel dipinto di Miguel Cabrera raffigurante
il miracolo della tilma; un uomo più giovane, quasi
sicuramente l'interprete Juan González; un indio
dai lineamenti marcati, con barba e baffi, certamente Juan
Diego, che apre il proprio mantello, ancora privo dell'immagine,
davanti al vescovo; una donna dal volto scuro, forse una
schiava nera; un uomo dai tratti spagnoli - quello già
individuato dagli esami oftalmoscopici sulla tilma e inizialmente
scambiato per Juan Diego - che guarda pensoso la tilma accarezzandosi
la barba con la mano. Tutti questi personaggi stanno guardando
verso la tilma, meno il primo, l'indio seduto, che sembra
guardare piuttosto il viso di Juan Diego. Insomma, negli
occhi dell'immagine della Madonna di Guadalupe vi è
come una "istantanea" di quanto accaduto nel vescovado
di Città di Messico al momento in cui l'immagine
stessa si formò sulla tilma. Al centro delle pupille,
poi, si nota, in scala molto più ridotta, un'altra
"scena", del tutto indipendente dalla prima, in
cui compare un vero e proprio "gruppo familiare"
indigeno composto da una donna, da un uomo, da alcuni bambini,
e - nel solo occhio destro - da altre persone in piedi dietro
la donna.
La
presenza di queste immagini negli occhi è, innanzi
tutto, la conferma definitiva dell'origine prodigiosa dell'icona
guadalupana: è materialmente impossibile dipingere
tutte queste figure in cerchietti di circa 8 millimetri
di diametro, quali sono le iridi della Madonna di Guadalupe,
e per di più nell'assoluto rispetto di leggi ottiche
totalmente ignote nel secolo XVI. Inoltre, la scena del
vescovado come appare negli occhi della Vergine pone un
altro problema: essa non è quella che poteva essere
vista dalla supeficie della tilma, dato che vi compare Juan
Diego con la tilma dispiegata davanti al vescovo. A questo
proposito José Aste Tonsmann avanza l'ipotesi che
la Madonna fosse presente, sebbene invisibile, al fatto,
e abbia "proiettata" sulla tilma la propria immagine,
avente negli occhi il riflesso di ciò che stava vedendo
.
Un
altro studio scientifico che ha dato risultati molto interessanti
è quello relativo alla disposizione delle stelle
sul manto della Vergine, disposizione che, pur essendo diversa
da quelle "geometriche" tipiche dei cieli dipinti,
per esempio, sulle volte di alcune chiese, sembra tutt'altro
che casuale. Questo fatto, che mal si accorda con la sbrigativa
definizione di "aggiunte" data da Philip Serna
Callahan alle stelle del manto e ai disegni del broccato
della tunica, spinge don Mario Rojas Sánchez, traduttore
dei testi náhuatl sull'apparizione e studioso della
cultura azteca, a uno studio accurato su questi due particolari
dell'immagine di Guadalupe. Partendo dalla somiglianza fra
i grandi fiori in boccio visibili sulla tunica della Vergine
e il simbolo azteco del tépetl, cioè del monte,
don Mario Rojas Sánchez ha identificato sulla tunica
una "mappa" dei principali vulcani del Messico;
quanto alle stelle, lo stesso sacerdote ha potuto accertare,
grazie alla collaborazione di alcuni astronomi e dell'osservatorio
Laplace di Città di Messico, che esse corrispondono
alle costellazioni presenti sopra Città di Messico
al solstizio d'inverno del 1531 - solstizio che, dato il
calendario giuliano allora vigente, cadeva il 12 dicembre
- viste però non secondo la normale prospettiva "geocentrica",
ma secondo una prospettiva "cosmocentrica", ossia
come le vedrebbe un osservatore posto "al di sopra
della volta celeste"